Skip to main content

Noi credevamo di essere allo zenith della ragione

| TIZIANA CARENA

Tempo di lettura: 5 minuti

Noi credevamo di essere allo zenith della ragione

Riparliamo della Pace perpetua di Immanuel Kant. “Gli eserciti permanenti (miles perpetuus) devono col tempo completamente scomparire, così scriveva nel 1795. Per il grande filosofo tedesco, la guerra e il conflitto sono forme irrazionali, la pace perpetua e lo Stato cosmopolitico sono le forme estreme della razionalità morale.

«Nessun trattato di pace può considerarsi tale, se stipulato con la tacita riserva di argomenti per una guerra futura»: così Immanuel Kant (1724-1804) nel suo piccolo libro del 1795 Per la pace perpetua (tr. it. Milano, Feltrinelli, 2001), pubblicato nel settembre 1795, strutturato per articoli come un possibile trattato internazionale. Kant (un vero visionario!) aveva ottime ragioni per intimare con queste parole il dover essere: nell’aprile 1795 è siglata la pace di Basilea tra la Francia rivoluzionaria e la Prussia di re Federico Guglielmo II che si presenta proprio come una pace siglata «con la tacita riserva di argomenti per una guerra futura” che ricomincerà, infatti meno di un anno dopo, per continuare, quasi ininterrottamente, fino alla battaglia di Waterloo del giugno 1815.

«Perché, poi, in via generale i popoli e le nazioni – e questo in verità anche in tempo di pace – si disprezzino, si odino, si detestino l’un l’altro, è un vero mistero. […] È veramente come se, riunendo una moltitudine, sia pure costituita da milioni di uomini, per ciò stesso tutte le acquisizioni morali dei singoli dovessero annullarsi, lasciando sussistere soltanto gli atteggiamenti psichici più primitivi, più antichi e più rozzi» scrive Sigmund Freud (1856-1939) nel 1915 in Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte.

Che cos’è la guerra?

Che cos’è la guerra? Per Kant la guerra è la distruzione del principio morale secondo il quale l’essere umano dev’essere considerato sempre come fine e mai come mezzo; nella guerra grandi masse umane sono mezzi di minoranze di governo. Kant, figlio dell’età dei Lumi, figlio del suo tempo, usa la ratio del suo tempo e con “pace perpetua” intende un ordinamento morale del mondo e della politica che richiede anche un apparato di sanzioni, per somministrare le quali, tuttavia, occorrerebbe uno Stato cosmopolitico.

Kant, nel suo saggio trasporta l’imperativo morale dalla dimensione individuale alla dimensione sociale, il Sé da individuale diventa collettivo – quale del resto esso è per sua natura: gli esseri umani, proprio perché esseri umani, sono titolari di diritti inalienabili: l’uguale dignità che deriva da una uguale libertà che Kant considera un “dato di fatto della pura ragione”.

Nell’articolo 2 (preliminare) Kant scrive: «Nessuno Stato indipendente (poco importa se piccolo o grande) deve poter essere acquistato da un altro Stato mediante eredità, cambio, compera o donazione. Fare il contrario significa annullare l’esistenza stessa dello Stato come società fondata sul patto di unione, da cui trae origine lo stesso concetto di popolo».

La storia politica si è mossa al di fuori della moralità

Men che meno uno Stato può essere conquistato a buon diritto da un altro Stato. Se ne conclude che la storia politica della specie umana, secondo Kant, si è mossa, fino a questo momento, al di fuori della moralità. E qui il discorso di Kant si avvicina a quello di Freud: se la guerra è parte rilevantissima della vita politica umana e della sua storia e se essa comporta la distruzione dei principi morali razionali derivante dall’azione collettiva, la guerra è senz’altro una esplosione di irrazionalità, una contraddizione della “pura ragione”.

L’universalità della natura umana viene negata dalle forme di identità collettiva irrazionale su cui fiorisce il nazionalismo, cioè l’identità non-inclusiva. A proposito della attuale crisi russo-ucraina lo storico inglese Donald Sassoon (professore emerito di Storia europea comparata alla Queen Mary University of London) sostiene che, dal 1989, l’Occidente «ha una responsabilità: ha lasciato la Russia al nazionalismo» (Intervista di Letizia Tortello in “La Stampa” del 4 marzo 2022, p. 18), cioè non ha usato le potenzialità razionali insite nelle tendenze alla globalizzazione: «Quando la Nato ha promesso che non si sarebbe allargata a Est, e invece poi l’ha fatto. E quando abbiamo rinunciato a tirare la Russia verso il nostro Continente, entrandone in qualche modo a fare parte e normalizzando i rapporti».

Un fiorire di integralismi religiosi, di nazionalismi, di localismi

In effetti la “globalizzazione dall’alto” ha favorito, negli ultimi trent’anni, un fiorire di integralismi religiosi, di nazionalismi, di localismi, anziché dispiegarsi come globalizzazione razionale dell’uguaglianza nella dignità e nel diritto. Di questa globalizzazione irrazionale il rinascere del nazionalismo e le guerre sono i frutti. Odio e disprezzo, non possiamo negarlo, lo vediamo nel dibattito pubblico attuale. Andrebbe riletto, in proposito, con attenzione estrema il libro di William Miller Anatomia del disgusto.

L’Europa, negli ultimi trent’anni, si è voltata da un’altra parte; ancora Sassoon afferma: «Abbiamo trattato la dissoluzione dell’Urss come una sconfitta della Russia, come se non fosse stata una decisione dei russi stessi, di Gorbačëv, la fine dell’impero sovietico. Abbiamo spinto lontano la Russia, anziché avvicinarla sempre più con rapporti normalizzati».

L’Europa pare abbia rivolto lo sguardo in direzione opposta a quella nella quale si manifestavano i fermenti nazionalistici in Russia e non li abbia considerati allarmanti. Ora si dice che l’Europa non si volterà dall’altra parte; ma oggi, che è il decimo giorno di guerra con 1.200.000 ucraini in fuga, potrebbe essere troppo tardi; la situazione pare, infatti, essere estrema. C’è stato un attacco alla centrale nucleare più grande d’Europa sita in Ucraina; in modo surreale, terminava la giornata internazionale dei giusti del 3 marzo e nella notte del 4 abbiamo avuto la paura dello spettro di Chernobyl, di un mondo non lontano dal “Codice Genesi”.

Il “cono d’ombra della ragione”

Nel XXI secolo, sentire dire che “il peggio deve ancora venire” stride.

I naufragi del Mediterraneo, a questo punto, e le migrazioni dai paesi del Medio-Oriente, si uniscono alle migrazioni di massa dei profughi ucraini. L’umanità ridotta a massa umana, non più considerata dal punto di vista dello psicologo australiano George Elton Mayo (1880-1949) come fattore umano, potenzialità, risorsa umana….

La distruzione del principio morale, l’appellarsi al famoso “senso comune” mentre la ferinità alberga nell’essere umano coglie ogni occasione per manifestarsi: allora alcuni esseri umani ne trattano altri come meri mezzi. La regressione allo stato di ferinità, il “cono d’ombra della ragione” di cui parla Freud, si manifesta quando la razionalità è stata assorbita dalla irrazionalità.

L’articolo 2 di Per la pace perpetua recita: «Il diritto internazionale deve fondarsi su una federazione di Stati liberi.” Emerge qui «la fede totale nel potere pacificatore della ragione e del diritto» (Tiziana C. Carena- Francesco Ingravalle, Kant, Per la pace perpetua: attualità e inattualità. Un’opportunità per la filosofia politica contemporanea in “Fenomenologia e Società”, 3, 2008, p. 146). Una fede che si contrappone alla realtà della situazione descritta da un classico del pensiero militare, Carl von Clausewitz (1780-1831): «La guerra è un atto di violenza per costringere l’avversario a eseguire la nostra volontà» (Della guerra (1832), a cura di G. E. Rusconi, Torino, Einaudi, 2000, p. 17). In questi termini non esisterebbe alcuna forma deontologica e avremmo il pieno dispiegamento della irrazionalità descritto da Freud nel 1915.

Non vogliamo la guerra atomica, né la guerra

Per equazione logica, scomponendo il ragionamento, la guerra e il conflitto sono forme irrazionali, la pace perpetua e lo Stato cosmopolitico sono le forme estreme della razionalità morale che non poteva essere generata che da un pensatore del secolo dei Lumi come Immanuel Kant.

Sentiamo parlare di uomini straordinari, di eroi, di giorni straordinari, di situazione eccezionale, di operazioni speciali, ma, whatever it takes, non vogliamo la guerra atomica, né la guerra, vogliamo la politica razionale: «Gli eserciti permanenti (miles perpetuus) devono col tempo completamente scomparire la guerra e il conflitto sono forme irrazionali, la pace perpetua e lo Stato cosmopolitico sono le forme estreme della razionalità morale» (Kant, Per la pace perpetua, articolo 3, preliminare).

Eravamo nel 1795.

Scrive per noi

TIZIANA CARENA
Tiziana C. Carena, insegnante di Filosofia, Scienze umane, Psicologia generale e Comunicazione, Master di primo livello in Didattica e psicopedagogia degli allievi con disturbi dello spettro autistico, Perfezionamento in Criminalistica medico-legale. È iscritta dal 1993 all'Ordine dei Giornalisti del Piemonte. Si occupa di argomenti a carattere sociologico. Ha pubblicato per Mimesis, Aracne, Giuffrè, Hasta Edizioni, Brenner, Accademia dei Lincei, Claudiana.