Skip to main content

Se l’educazione diventa insostenibile: la Stagione del Rumore degli universitari torinesi

| Giacomo Vicario

Tempo di lettura: 7 minuti

Se l’educazione diventa insostenibile: la Stagione del Rumore degli universitari torinesi

L’attivismo studentesco dei giovani torinesi si è rivelato una forza in grado di sovvertire le carte in tavola, dentro e fuori l’Università, diventando in pochi mesi una massa critica che, nonostante repressione e violenza, continua a lottare per un mondo dell’educazione sostenibile e antifascista.

Se l’educazione diventa insostenibile. Fa discutere la decisione presa il 20 marzo dal Senato Accademico dell’Università di Torino di non partecipare al bando MAECI di cooperazione scientifica con le Università israeliane. Primo a prendere una posizione simile in Italia, l’Ateneo torinese ha accolto in parte la richiesta avanzata da studenti, collettivi ma anche da alcuni docenti e membri della comunità universitaria. Entrati nell’aula del Rettorato dove si stava riunendo il Senato, i manifestanti hanno chiesto che il Rettore Stefano Geuna sottoscrivesse una lettera indirizzata al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, firmata da 1600 accademici, per chiedere la sospensione del Bando di Ricerca congiunto che vedrebbe la collaborazione tra enti di ricerca italiani e israeliani sulla base dell’Accordo di Cooperazione Industriale, Scientifica e Tecnologica tra i due paesi.

Le richieste degli studenti e la risposta dell’Università

Esponenti dei gruppi “Cambiare Rotta” e “Progetto Palestina”, da anni impegnati per la causa palestinese, spiegano come le università israeliane abbiano un ruolo attivo nell’oppressione e nella guerra in corso, e che eventuali frutti della  ricerca scientifica possano essere impiegati per proseguire lo sforzo bellico contro la popolazione palestinese. Addirittura, fanno notare gli attivisti, una delle università coinvolte nell’accordo, la Ariel University, si trova in uno dei tanti insediamenti israeliani in Cisgiordania, ritenuti illegali e violazioni del diritto internazionale da parte di numerose risoluzioni delle Nazioni Unite.

L’Ateneo risponde: “Il senato accademico dell’università – recita la mozione approvata durante la mattinata – ritiene non opportuna la partecipazione al bando del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, visto il protrarsi della situazione di guerra a Gaza”. Piovono le accuse di antisemitismo e di boicottaggio dall’opinione pubblica, mondo dell’istruzione, dai media, dalla politica sia a destra che a sinistra.

Il problema, per molti osservatori, è che la ricerca non deve piegarsi all’ideologia, che la diplomazia scientifica può essere uno dei canali per ottenere il dialogo e la pace e che scelte del genere vadano solo a penalizzare il popolo israeliano contrario alla strage in corso a Gaza. Ma di tutti gli elementi che questa decisione ha portato alla luce nel dibattito dell’opinione pubblica, ce n’è uno chiave ancora poco indagato: ovvero che l’attivismo e la mobilitazione degli studenti (e non solo) del capoluogo piemontese è una forza in gioco che non può più essere sottovalutata.

Una nuova stagione di attivismo e mobilitazione studentesca

Se da anni le lotte degli studenti universitari, coordinate da collettivi, gruppi e movimenti di Torino erano state sottostimate e spesso bollate come espressione di gruppi di estrema sinistra legati a vari centri sociali della città, gli scorsi mesi hanno segnato un decisivo punto di svolta. Un gruppo sempre più folto ed eterogeneo di studenti dell’Università di Torino ha iniziato a mobilitarsi e ad unirsi ai momenti di dialogo e alle azioni di protesta sul territorio cittadino; mobilitazione che ha portato a risultati non da poco e che ha giocato un ruolo cruciale nella decisiva scelta del Senato Accademico dell’Ateneo piemontese.

Diversi i possibili fattori scatenanti di questa rinnovata partecipazione giovanile alla politica universitaria torinese: uno di questi, negli ultimi mesi ancora più evidente, è il rapporto estremamente conflittuale con le forze dell’ordine cittadine. Nonostante si possa constatare come questo “trend” di repressione sempre più violenta di proteste e cortei da parte delle forze di polizia sia osservabile nei grandi centri di tutto il Paese, Torino da molti osservatori è sempre stata considerata una città in cui l’antagonismo tra Polizia e attivisti ha assunto forme molto più violente.

Il rapporto conflittuale e violento con la Polizia

Sono state proprio le manganellate contro gli studenti in diverse occasioni dell’autunno 2023  a convincere sempre più studenti ad una partecipazione più attiva nel nome dell’antifascismo. Gli scontri del 3 ottobre in occasione della visita della Premier Giorgia Meloni al Festival delle Regioni hanno suscitato scalpore nazionale e internazionale per la loro violenza, un “uso della forza illegittimo” secondo Amnesty. Questo avvenimento è stato simbolicamente il preambolo di una stagione di forti scontri tra studenti e polizia, che ha raggiunto il suo culmine qualche settimana più tardi, il 27 ottobre, quando le forze dell’ordine schierate nei corridoi del Campus Einaudi hanno caricato un gruppo di studenti sulle scalinate e sulle balconate della Main Hall.

Gli studenti che si erano radunati per contestare una conferenza a porte chiuse del FUAN (Fronte Universitario d’Azione Nazionale, gruppo studentesco già resosi protagonista di azioni violente e discriminatorie in università, rimosso dall’albo dei gruppi studenteschi di Unito da una commissione super partes e poi riammesso per scelta del Rettore Geuna con modalità poco chiare e trasparenti), si sono trovati di fronte ad un cordone di poliziotti della DIGOS in tenuta anti-sommossa, schierati per permettere lo svolgimento della conferenza (che vedeva ospite anche l’assessore Regionale di Fdi Maurizio Marrone) impedendo però il proseguimento regolare della didattica.

La nascita del Coordinamento Antifascista Universitario

Assistere ed essere coinvolti in questi episodi violenti nella propria università ha spaventato molti studenti, anche chi non aveva preso parte all’azione di protesta davanti all’aula della conferenza ma, semplicemente, non aveva potuto frequentare le lezioni perché la polizia bloccava l’accesso a diverse aule. Dopo varie assemblee, partecipate anche da membri del corpo docenti e del personale dell’università, e dopo un ulteriore episodio di violenza con la polizia il 3 dicembre successivo, che ha visto pestaggi violenti sia di studenti che di docenti, si è sentita la necessità di coordinare gli sforzi di protesta contro la violenza in università con tutte le altre lotte portate avanti dai gruppi di sinistra e dai collettivi dell’Università.

Il 3 dicembre nasce quindi il Coordinamento Antifascista Universitario, un hub di attivismo e mobilitazione che riunisce studenti, docenti, dottorandi, personale tecnico ma anche tanti cittadini impegnati a creare un fronte di opposizione a modalità violente di repressione del dissenso, con l’organizzazione di eventi culturali ispirati ai valori democratici e della cittadinanza attiva e la coordinazione con altre forze antifasciste presenti sul territorio. Si tratta di un esperimento di partecipazione e mobilitazione studentesca dal basso, che ha raccolto un gran numero di adesioni da parte della comunità universitaria torinese e che, dalla sua fondazione, si trova in prima linea nella battaglia per garantire a tutti un diritto allo studio che sia antifascista e sostenibile.

Le occupazioni universitarie dell’autunno 2023

Sempre negli stessi mesi, in risposta agli episodi di violenza da parte della Polizia ma anche per prendere una posizione forte riguardo alla strage di Gaza cominciata il 7 ottobre, vari collettivi universitari sono riusciti a mobilitare questa grande massa critica di studenti e ad organizzare occupazioni del Campus Einaudi e di Palazzo Nuovo. Quest’ultima è consistita in una 3 giorni intensa di assemblee, incontri e seminari auto-gestiti a sostegno del popolo palestinese, culminata con un grande corteo cittadino venerdì 17 novembre. Ad un mese dall’inizio del conflitto in Medio – Oriente, gli studenti lamentavano una mancanza di spazi critici di dibattito e di formazione su quanto stava accadendo a Gaza e criticavano il supporto incondizionato verso lo stato di Israele da parte delle istituzioni, università in primis.

Un’occupazione, quella di Palazzo Nuovo che ha ispirato diversi attivisti per l’ambiente a portare la campagna internazionale di occupazioni universitarie “End Fossil Fuels” anche a Torino, presso il Campus Einaudi. Occupazione nata con l’obiettivo di chiedere un impegno concreto da parte dell’Università nel ridurre la proria dipendenza dai combustibili fossili, nel recidere contratti di ricerca e partnership strategiche con le multinazionali del gas e della guerra oltre che al tentativo di elaborare, insieme ad alcuni docenti, un corso obbligatorio sui temi della crisi climatica e della sostenibilità ambientale e sociale.

La battaglia vinta per le borse di studio

La mobilitazione per un’educazione sostenibile non ha tardato a portare i suoi frutti: una grande vittoria per gli studenti è stata quella di ottenere che l’Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario (EDISU) erogasse tutte le borse di studio per gli aventi diritto. Nonostante le graduatorie che li avevano reso idonei a ricevere il contributo economico basato sull’ISEE, a gennaio quasi 2000 studenti aventi diritto erano rimasti tagliati fuori per una mancanza di liquidità dell’Ente.

Numerose sono state le mobilitazioni studentesche davanti al Palazzo della Regione e alla sede dell’EDISU per mettere in luce le difficoltà economiche di studenti che si sono ritrovati senza la garanzia di un aiuto economico e che vedevano minacciato il loro diritto allo studio. Grazie a proteste, manifestazioni e cortei, la Regione ha dato il via libero ad uno stanziamento straordinario di 8 milioni di euro per sbloccare i pagamenti mancanti e concedere le borse di studio a tutti coloro che ne avevano fatto richiesta.

La retorica limitata e limitante dell’opinione pubblica

Alla luce di tutti questi episodi di mobilitazione e coordinamento di diverse lotte, risulta quindi quantomeno erroneo l’utilizzo di un retorica stereotipata di parte della stampa, politica e opinione pubblica, che contrappone le forze dell’ordine e del decoro, a un non ben definito miscuglio di estremisti di sinistra dei centri sociali dall’altra. Questa strategia comunicativa di delegittimazione di tutta una serie di battaglie, istanze e risultati ottenuti non fa altro che polarizzare il dibattito e semplificare eccessivamente questioni molto più serie; la stessa Premier Giorgia Meloni, commentando la scelta del Senato Accademico dell’Università di Torino ha espresso preoccupazione che decisioni del genere vengano prese “dopo un’occupazione dei collettivi”.

Rinforzare questi luoghi comuni significa banalizzare la complessità, ignorando la forza per troppo tempo sottovalutata della mobilitazione studentesca e giovanile che, come abbiamo visto, in questi mesi è riuscita a mettere in luce le criticità di un sistema che reprime il dissenso in luoghi, come le università, dove il dibattito e il dialogo dovrebbero essere esercitati quotidianamente, e dove i valori dell’antifascismo e della sostenibilità dovrebbero essere fondanti, non solo appartenere all’attivismo delle nuove generazioni.

Lottare per un’educazione accessibile, antifascista e sostenibile

Lottare per un’educazione sostenibile, per tutelare il diritto allo studio e per difendere i valori dell’antifascismo: questi i principi che hanno ispirato e continuano ad animare gli universitari torinesi. Che sia per gli studenti italiani rimasti senza borsa di studio; o per quelli palestinesi di Gaza, dove lo “scolasticidio” messo in atto dalle forze di occupazione Israeliane ha devastato scuole e università, impedendo l’accesso all’istruzione e all’educazione; o che sia per pretendere che il luogo in cui si studi non si renda teatro di violenze; o ancora, per chiedere che si smetta di finanziare gli interessi del fossile e si imbocchi la strada per una vera e propria università sostenibile. Gli ultimi mesi ci hanno dimostrato come ci sia una forte volontà collettiva che parte dal basso di coordinare queste diverse battaglie, all’interno dell’Università ma anche sul territorio.

La vera sfida sarà quella di riuscire a sfruttare al meglio questo flusso di energie e cercare di far convivere tutte le diverse anime che costituiscono questo blocco di attivismo eterogeneo e inclusivo. Impresa non semplice, ma i risultati ottenuti finora sembrano promettere bene; se per molto tempo i giovani della Generazione Z sono stati visti come poco partecipi alla vita politica e disinteressati all’attivismo, soprattutto nel periodo pandemico, la massa critica degli studenti torinesi ha dimostrato come invece esistano forze giovani, intelligenti, autonome e indipendenti, disposte ad attivarsi e capaci, oltre che di organizzarsi e di autogestirsi, anche di ottenere risultati non da poco. Le prospettive di crescita ci sono, e la volontà di attivarsi non sembra accennare ad esaurirsi: gli studenti di Torino sembrano essere davvero la prova che la lotta per un’educazione sostenibile non può più essere ignorata.

Scrive per noi

Giacomo Vicario