COP27: un piccolo passo per sconfiggere la crisi climatica, un grande passo per ottenere giustizia.
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Alla Cop27 c’è una vittoria (ma ancora da concretizzare): l’istituzione di un fondo per le perdite e i danni dovuti alla crisi climatica, il Loss&Damage. Ci sono però diverse, troppe, sconfitte.
Sono le 4 e 20 del mattino circa, ora egiziana, tra sabato 19 e domenica 20 novembre, quando il Presidente della COP, Sameh Shoukry, approva l’istituzione di un fondo per le perdite e i danni subiti dalla crisi climatica. Il Loss and Damage non è solo entrato in agenda all’inizio della COP, cosa mai successa prima, ma è anche stato la sua vittoria più importante.
La giustizia climatica si fa avanti, dimostrando come gli attivisti di tutto il mondo e i rappresentanti del global south siano riusciti a far sentire la propria voce. Le persone che meno hanno contribuito alla formazione della crisi climatica, ma di cui ne sono le prime vittime, potranno ricevere dei soldi per riparare i danni e le perdite subite.
È sicuramente l’unica vera grande vittoria di questa COP27. Sono state deboli e timide le proposte che riguardavano la mitigazione e l’adattamento della crisi: poche decisioni sulla prevenzione della crisi climatica (mitigazione) e sulla preparazione ai prossimi eventi estremi nel futuro (adattamento).
Come funzionerà il Loss and Damage
Loss and Damage vuole fare giustizia: guarda al presente, per controllare e cambiare le scelte, in prospettiva futura. È giusto ricordare, però, che per una sua piena attuazione bisognerà aspettare ancora due anni. Solo a COP29, nel 2024, potranno però materialmente arrivare i primi soldi del fondo. Entro la prossima COP28, a Dubai, potrebbero arrivare le raccomandazioni della commissione, istituita ad hoc, su chi ci metterà i soldi e chi li riceverà. Tra due anni, il fondo Loss and Damage dovrebbe diventare operativo ed essere in grado di erogare le prime compensazioni.
Il caso del Pakistan mette al centro la giustizia climatica a COP27
Quest’anno il Pakistan ha subito 30 miliardi di dollari di danni a causa della crisi climatica. È stato questo caso emblematico a guidare la narrativa e a portare alla grande vittoria dell’istituzione di un fondo di risarcimento per le perdite e i danni subiti.
«Se non fosse successa la catastrofe in Pakistan, sarebbe stato molto più difficile imporre il tema del loss and damage» commenta Mauro Albrizio di Legambiente nella newsletter Areale del giornale Domani.
L’intervento del primo ministro pakistano, Shehbaz Sharif, rivolto ai suoi omologhi nel mondo, era allarmante, diretto e pretenzioso: dovete aiutarci a partire da ora.
«Lo diciamo forte e chiaro a chi ha il potere e la forza finanziaria per cambiare il corso della storia, ed è per questo che è pensata questa conferenza. Signore e signori, ora o mai più. Perché per noi non esiste il pianeta B.»
Le alluvioni in Pakistan hanno inondato un terzo del Paese e causato oltre 1.700 vittime. Molte persone hanno dovuto abbandonare le loro case, o quello che di esse rimanevano. Le famiglie già vulnerabili nelle aree rurali sono state ulteriormente minacciate dalla perdita del lavoro. I settori maggiormente colpiti sono stati l’agricoltura, l’allevamento e la pesca. La fame, invece, ha toccato tutti: dai cittadini ai contadini. Secondo alcune stime, le inondazioni hanno portato al bisogno di un’assistenza alimentare di oltre 14 milioni di persone. E questo è solo l’inizio:
“La triste verità è che il Pakistan – e altri paesi in prima linea nella crisi climatica – continueranno a subire shock climatici sempre più estremi e bisogna preparare le comunità a fare fronte alla tempesta in arrivo”, ha detto Chris Kaye, Direttore del WFP in Pakistan.
Le inondazioni in Pakistan sono arrivate dopo una forte ondata di calore e di siccità, che aveva visto le temperature superare i 45°C, provocando un’accelerazione della fusione dei ghiacciai nel nord del Paese, seguita da piogge sempre più intense, fino ad arrivare alle inondazioni. Non ci sono dubbi: la colpa è della crisi climatica.
E quindi è andata bene o male?
Siamo un’auto che sta andando a tutta velocità verso l’inferno climatico. Nessuno frena.
“We are on a highway to climate hell with our foot still on the accelerator.”
Con quest’immagine così emblematica, il segretario delle nazioni unite Guterres aveva dato inizio alla ventisettesima COP. Se per la giustizia climatica sono stati fatti passi avanti, nulla di quanto si sia deciso in questa edizione aiuta a frenare quest’auto alla rincorsa. Poche e deboli le decisioni sulla mitigazione e l’adattamento: non c’è stata l’attuazione di quel famoso quaderno delle regole della COP di Parigi.
Le COP servono per l’attenzione mediatica, per l’incontro fra le diverse potenze mondiali, per rimettere al centro della politica quello che di solito ne rimane fuori: il clima. Per questo motivo, le COP servono sempre, ma forse, quello che serve ancora di più, è quello che può succedere tra una COP e l’altra. Nelle manifestazioni in piazza, gran parte dei cartelloni dei FridaysForFuture e degli altri attivisti chiedevano giustizia climatica: ora questa sta diventando realtà.
Bisogna quindi continuare a chiedere, informarsi, votare e soprattutto manifestare, in tutti i modi possibili, che è questa la lotta di questo decennio e che le soluzioni ci sono, bisogna solo accettarle e praticarle.
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- Carola Speranza
- Dopo aver conseguito la doppia laurea triennale nel dipartimento di Lettere moderne all’Università degli studi di Torino e Université Savoie Mont-Blanc, ottiene la laurea magistrale binazionale in Filologia moderna all’Università Sapienza di Roma e Sorbonne Université di Parigi. È fondatrice e autrice del blog “Grandi Storielle”.
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