Il popolo dell’esilio si è perduto a Gaza. L’opera di Moni Ovadia, una voce di pace
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Altro che tregua: a Gaza è stata imposta l’interruzione degli aiuti umanitari non quella dei bombardamenti, che continuano a devastare la popolazione palestinese. Israele rappresenta ancora il “popolo dell’esilio” di cui parla Moni Ovadia nel suo libro?
Il popolo dell’esilio di Moni Ovadia
In pagine di rara intensità, Moni Ovadia, abile interprete, musicista poliedrico e attore eclettico, esprime la sua posizione sulla questione mediorientale. Con la voce ironica e commossa di un ebreo desideroso di pace tra i popoli, affronta quesiti difficili e oscure presagi di discordia che separano le terre e le persone. Il suo canto è un’espressione di bellezza creativa che riflette una vocazione libertaria e una diffidenza istintiva nei confronti del potere e dell’autorità prepotente, opposta a ogni forma di antisemitismo. Ovadia cerca la verità al di là di schemi ideologici asfittici, slogan banali e cortocircuiti della memoria.
Nel suo lavoro Il popolo dell’esilio, Ovadia manifesta una profonda comprensione della condizione dell’esule e dello straniero, in un regno di giustizia sociale. Qui, i ruoli non hanno significato e le gerarchie sono abolite. Si intraprende un viaggio verso l’umanità sulla Terra, che diventa sacra perché abitata da stranieri tra gli stranieri. La sua visione si fonda su un concetto di giustizia economica che si oppone a ogni deriva nazionalista, abbracciando fantasia e creatività come due concetti chiave.
L’Europa è ancora intrisa di odio per l’altro e non potrà mai diventare una nazione unita e degna finché non accoglierà le diversità e le minoranze. È fondamentale condannare e contrastare le ideologie xenofobe, espellendo dalle istituzioni i leader politici che sfruttano il pregiudizio e fomentano l’odio razziale.
Moni Ovadia si oppone alla virulenza e alla rigidità del sionismo, che si manifesta nel delirio dei confini e nella rivendicazione di un’identità ristretta e ottusa, invocando una “sicurezza” che sacrifica gli ideali di giustizia, pace e umanità sull’altare del potere. Tuttavia, dalla sua opera emerge un’urgenza di Pace, necessaria per far riemergere la memoria dello sterminio nazista, liberandola dall’ossessione e dalla paranoia. Questo processo può trasformarsi in un momento creativo di vivacità musicale e fantasiosa, rappresentando un nuovo umanesimo universalista.
Nella condizione dell’esilio, l’essere umano rivela il proprio splendore, cercando pace, uguaglianza e alleanza con tutti gli esseri viventi, l’ambiente e l’ecosistema. È fondamentale abitare la terra come stranieri tra gli stranieri, praticando giustizia sociale e promuovendo relazioni di accoglienza con i popoli antagonisti. Questo ideale sublime di erranza è una precondizione necessaria per costruire la pace, dove l’esilio viene visto come una patria che riconosce le fragilità umane.
Dobbiamo creare uno spazio di riconoscibilità identitaria indefinita e in continua ridefinizione, arricchita da tradizioni, narrazioni, lingue, letterature, musicalità e creazioni artistiche. Un mondo senza confini, bandiere, eserciti e burocrazie, libero dalla retorica patriottarda, in cui le diaspore universali possono coesistere. La questione ebraica, quindi, rappresenta una riflessione profonda sull’alterità.
Il nazifascismo odiava l’ebreo della diaspora: un individuo sradicato, fragile e onnipresente, capace di accogliere le contraddizioni e di incarnare molteplici identità senza rinunciare a nessuna di esse. Questo ebreo rappresenta il pensiero critico e una vivacità culturale creativa, padrone della dialettica del dubbio e portatore di un’idea rivoluzionaria di redenzione universale, basata sulla precaria bellezza dell’uomo fragile. È un inventore di opportunità per la redenzione, superando la condizione di schiavo e straniero, al di là delle logiche spietate delle teocrazie nazionaliste che annientano la diversità.
La Torah è un messaggio universalista. Essa, insieme alla formazione marxista e libertaria, ispira l’autore nelle sue lotte per la giustizia sociale, per le rivendicazioni palestinesi e per tutti gli oppressi, comprese le donne, gli omosessuali e i diritti degli animali. In questo contesto, il tempo si trasforma nello spazio dell’esistenza, abolendo la logica del confine e abbracciando una vera visione universalistica ebraica, caratterizzata dall’amore per il divenire creativo e per le culture musicali oniriche.
Lo Shabbat, che trascende i confini temporali e territoriali, invita a vedere donne e uomini come soggetti di pensiero spirituale, etico e di giustizia. Questo approccio alimenta i circuiti virtuosi dell’esistenza, ponendo al centro la vita, la dignità e l’uguaglianza, oltre lo sfruttamento capitalistico e la mercificazione consumistica. Si crea così uno spazio straordinario in cui la società può esplorare le proprie aspirazioni, sfide, grandezze e miserie, affrontando le patologie e celebrando la fragilità umana, al di là dei falsi idoli del potere e delle vocazioni idolatriche.
Il passato e il presente si intrecciano nei ricordi, confermando che la terra non è stata donata per alimentare guerre e nazionalismi, ma per dimostrare che l’unico modo per costruire la pace è essere un “popolo che sa vivere sulla terra da straniero fra gli stranieri”, portando culture universalistiche e un amore per l’arte e per la bellezza creativa della vita.
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- Laura Tussi
- Laura Tussi, docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell'ambito delle scienze della formazione e dell'educazione. Coordinamento Campagna Internazionale ICAN - Premio Nobel per la Pace 2017 per il disarmo nucleare universale, fa parte dei Disarmisti Esigenti, gruppo membro della rete mondiale e premio Nobel per la pace ICAN.
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