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Studiare ecologia e storytelling nella periferia di Nairobi

| Carola Speranza

Tempo di lettura: 3 minuti

Studiare ecologia e storytelling nella periferia di Nairobi

Nella Summer School di Korogocho, gli studenti imparano lezioni di scrittura e di ecologia. Alle spalle della scuola, primeggia la più grande discarica dell’Africa Orientale, che arriva fino alle lavagne delle classi e si personifica tra i banchi: gran parte degli studenti della Smiley School viene proprio da lì, dall’interminabile e inarrestabile discarica di Dandora.  

Smiley Hand è una Onlus italiana, fondata nel 2010. Il nome viene scelto per “la necessità di mettersi in gioco, anche con le proprie mani.”

Tra tutti i posti del mondo in cui avrebbe potuto iniziare a dare una mano, ha scelto di venire proprio qui, a Korogocho. Baraccopoli nella periferia di Nairobi, il suo nome in kikuyu significa “confusione”. Non poteva esistere modo migliore per rappresentare lo slum che nasce e cresce, ormai da anni, dalle macerie fumanti di una discarica sempre attiva.

Una scuola in uno dei luoghi più inquinati del pianeta

Gli abitanti di Korogocho vivono dello scarto dei ricchi e dello scarto degli scarti. L’intera economia del villaggio è sostenuta dal grande malessere che attanaglia lo stesso villaggio: Dandora. La discarica è composta da oltre 2,5 km quadrati di terreno ricoperto da rifiuti di ogni genere. Non è solo una distesa di malessere ambientale, ecologico e fisico. È anche, se non soprattutto, un malessere sociale. Sono molte le famiglie a lavorare e a vivere nella discarica: hanno costruito chiese e abitazioni. Per non uscire mai, per continuare a lavorare, per cercar di rendere vivibile un posto che puzza solo di morte.

La discarica avanza anche nelle strade dello slum, oltrepassando il fiume nero, che dovrebbe dividere il villaggio da Dandora.

Sono due i compiti principali: raccogliere materiali per il loro riciclo; portare fuori dalla discarica la merce che possa essere rivenduta, maturando così il commercio dello slum. È lo slum che vive nei rifiuti e dei rifiuti. Ed è così che, con Smiley Hand, si è deciso di iniziare corsi di scrittura e di ecologia: per saper raccontare quello che si vede, e poterlo finalmente capire per condannarlo, dagli occhi di una generazione che può fare la rivoluzione.

L’educazione come unica soluzione

La parola chiave del progetto Smiley Hand, in queste due settimane di lavoro sul campo, qui a Korogocho, è l’educazione. Attraverso il workshop di scrittura, gli studenti possono godere di diversi strumenti per poter esprimere i propri pensieri, la propria prospettiva o, molto semplicemente, per poter parlare di se stessi, in un mondo in cui l’educazione infantile tende ad essere soppiantata da lavori malpagati, vita di strada o criminalità. La scrittura diventa il mezzo per fare educazione di ecologia, in uno dei posti più inquinati del pianeta. Perché scegliere di trattare proprio il tema ecologico? Perché introdurre un corso monografico sull’argomento? Lo abbiamo chiesto all’ideatore del corso: Pietro Stopazzola.

Ti rispondo raccontandoti il mio “primo giorno di scuola” Sai cosa è successo prima dell’inizio delle lezioni? Andando nel giardino della scuola, ho trovato un gruppo di ragazzi che bruciava un mucchio di plastica. Cioè loro, come gioco e come modo più veloce per eliminare i rifiuti, per far passare il tempo prima dell’inizio delle lezioni, non giocavano, ma bruciavano plastica. Pazzesco eh?

Alcuni studenti incendiano rifiuti di plastica prima dell’inizio delle lezioni.

Non esiste alcun tipo di sensibilità. Non si conosce il problema. È una sfida, questo corso, per sensibilizzare i ragazzi alla tematica dell’inquinamento globale; per far sì che le nuove generazioni possano avere gli strumenti per poter cambiare la realtà.

Come si parla di ecologia, in un posto dove “parlare della casa”, questo è infatti il significato del termine ecologia, vuol dire parlare di una casa che brucia?

Sono molto interessati alla materia, e ne sanno molto di più di quanto mi aspettassi. Il problema è evidente: non possono mettere in pratica nulla. Non solo per una mancanza di volontà ma anche, e soprattutto, per una mancanza di condizioni. Partiamo proprio dalle cose semplici: non esistono i cestini a scuola e poi, se anche ci fossero, quale sarebbe la loro utilità, se, sebbene differenziati, convergono tutti nell’immensa discarica di Dandora? L’unica soluzione possibile? L’educazione delle nuove generazioni, che possano cambiare il presente e il futuro. Oggi, per esempio, un ragazzo ha ricordato perfettamente la lezione di ecologia di ieri. Sono arrivato in giardino e l’ho visto togliere la bottiglietta di plastica dal fuoco. Questo mi ha reso felice.

Il motto dell’associazione è “Cambiamo il mondo un sorriso alla volta”. Forse, dopo quello che è successo oggi, potremmo dire: “Cambiamo il mondo una bottiglietta di plastica alla volta”. Ed è solo l’inizio.

Scrive per noi

Carola Speranza
Carola Speranza
Dopo aver conseguito la doppia laurea triennale nel dipartimento di Lettere moderne all’Università degli studi di Torino e Université Savoie Mont-Blanc, ottiene la laurea magistrale binazionale in Filologia moderna all’Università Sapienza di Roma e Sorbonne Université di Parigi. È fondatrice e autrice del blog “Grandi Storielle”.