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A tre mesi dal terremoto, in Turchia la scuola non esiste per tutti

| Carola Speranza

Tempo di lettura: 4 minuti

A tre mesi dal terremoto, in Turchia la scuola non esiste per tutti

Viaggio nelle città turche rese fantasma dal terremoto. Una delle caratteristiche meno indagate delle conseguenze del terremoto che ha colpito il sud-est della Turchia, lo scorso 6 febbraio, sono le condizioni di vita dei profughi siriani presenti all’interno del territorio turco. Se a Kilis, città prossima al confine, la frequenza a scuola è rimasta solida, differente è la situazione per i profughi siriani sfollati, ad Hatay. 

 

Nella notte del 6 febbraio, un terremoto di magnitudo 7.8 con epicentro vicino a Gaziantep devasta diverse zone del sud-est della Turchia. Quest’ultime, come le province di Gaziantep, Malatya, Hatay, Antiochia, ospitano più di due milioni di rifugiati siriani. Nello stesso giorno seguiranno diverse scosse tra cui, verso l’una del pomeriggio, una di magnitudo 7.6 nella regione di Kahramanmaras. Le conseguenze di quello che è definito il quinto terremoto per magnitudo, dall’inizio degli anni ‘2000, si riversano sia nel territorio turco, sia in quello siriano, causando più di 50.000 vittime.

Kilis, alcune famiglie vivono nelle tende a bordo strada o perché sfollate o perché ritengono questa sistemazione più sicura.

Insieme all’associazione Una mano per un sorriso – for Children, ho avuto la possibilità di recarmi a Kilis, città che dista solo a sette chilometri dal confine siriano, vale a dire dal muro finito di costruire da Erdogan nel 2018. In giornata, ci siamo anche recati ad Hatay, città fantasma dopo il sisma.

Kilis, tra bambini turchi e bambini siriani

Nella città e nella provincia di Kilis sono tanti i siriani arrivati a causa della guerra nel loro paese, che quest’anno ha raggiunto i dodici anni di conflitto. Molte sono le famiglie che passano per queste strade per poi proseguire il loro viaggio, e altrettante sono quelle che decidono di fermarsi appena oltre il confine. Sono solitamente le famiglie più povere, composte da sole donne, o con uomini mutilati a causa del conflitto siriano, o con figli con disabilità.

Kilis è stata considerata per anni un esempio di perfetta integrazione tra due popoli completamente differenti, quello turco e quello siriano. Basti pensare che la popolazione siriana all’interno della provincia di Kilis, secondo il Refugees Association, è di oltre il 40%. Anche se, secondo la testimonianza di un professore siriano che fa lezioni gratuite per i profughi nel territorio, la percentuale del suo popolo avrebbe superato quella turca.

L’educazione come strumento di integrazione

L’integrazione viene anche garantita a scuola ed è incoraggiata dallo stesso governo. Fino a due anni fa, infatti, i siriani avevano la possibilità di frequentare gratuitamente anche l’università. L’integrazione per i più piccoli è anche facilitata dal fatto che i bambini delle famiglie siriane che frequentano l’asilo e le elementari sono quasi tutti nati all’interno del territorio turco. Tutte le famiglie incontrate a Kilis, infatti, sono riuscite a superare il confine prima della costruzione del muro: provengono da Aleppo, o dalla sua provincia, e sono arrivate prima del 2018. Questo significa che tutti i bambini che abbiamo incontrato erano già nati in Turchia. Nonostante questo, le famiglie turche e siriane tendono a non interagire più di tanto fra loro: c’è una convivenza pacifica ma con poche relazioni. Anche per i bambini l’interazione risulta difficile a causa della lingua: nelle famiglie siriane si parla l’arabo e si tende a non conoscere il turco.

Dopo il terremoto si tengono molte lezioni in “scuole container” e non nei vecchi edifici rimasti danneggiati. Inoltre, l’aspetto positivo del container, oltre a non avere dei piani superiori che potrebbero crollare, è la possibilità di poter subito uscire per strada in caso di sisma.

Hatay, città fantasma

Hatay è una delle province che è stata maggiormente colpita dal recente terremoto. Mentre la terra continua a tremare -vi erano infatti delle piccole scosse anche durante la nostra permanenza- sono incessanti i lavori delle ruspe che portano via le macerie. Lo scenario sembra apocalittico, sia in centro città che nelle zone limitrofe.

Il centro di Hatay, distrutto dal terremoto del 6 febbraio.

Si realizza di essere nei pressi della città colpita quando iniziano ad accumularsi, ai bordi delle strade, decine di tende offerte dalla protezione civile turca. Dopo pochi kilometri, si passa dalla vista di case danneggiate al cuore del disastro: cumuli di macerie testimoniano interi quartieri spazzati via nell’arco di una giornata.

Abbiamo avuto la possibilità di visitare due campi profughi. Il primo si trova difronte al quartiere in cui vivevano le stesse famiglie che ora fanno parte della tendopoli. Da un lato, quindi, ci sono i palazzi distrutti e di fronte, su un enorme campo, si estendono file di tende che ospitano esclusivamente sfollati siriani.

Ripartire dalla scuola, dopo il terremoto, non è possibile per tutti

La prima persona che incontro è un’insegnante. Mi mostra la sua casa distrutta: per fortuna, mi dice, si trovava al primo piano, e sono riusciti subito a scappare. Dice di aver avuto molto paura perché era sola, con i suoi tre figli. Dopo avermi indicato l’appartamento, di cui resistono solo alcune pareti, mi mostra una tenda: questa è “la scuola”. Mi dice infatti che ha deciso di continuare a tenere lezioni anche all’interno del campo profughi, dal momento che il servizio scolastico è, per loro, inesistente. Il secondo campo profughi è invece composto da ben duecento famiglie e questo significa che vi è un gran numero di bambini. Come il primo, non ha servizi igienici e sono sempre di più i bambini ammalati. Molte delle malattie sono causate dagli insetti: un bambino non riesce più ad aprire un occhio da diversi giorni a causa delle  infezioni a seguito di una puntura.

Il secondo campo profughi visitato ad Hatay, con l’associazione Una mano per un sorriso – for Children.

Rispetto alla prima tendopoli visitata, questa ha una cucina che viene messa in funzione ogni tre giorni e un piccolo campo da calcio. Anche in questo caso, la frequenza scolastica è stata interrotta. Non abbiamo avuto modo di conoscere sfollati turchi, ma sappiamo per certo che essi non vivono all’interno di tende, come quelli siriani. Infatti, è stata data loro la possibilità di vivere all’interno di container: un sistema sicuramente più riparato e comodo. Secondo il nostro accompagnatore in loco, questa decisione da parte del governo è stata presa in vista delle prossime elezioni: saranno infatti i turchi a doversi recare ai seggi il prossimo 14 maggio e sono quindi loro a ricevere i primi servizi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scrive per noi

Carola Speranza
Carola Speranza
Dopo aver conseguito la doppia laurea triennale nel dipartimento di Lettere moderne all’Università degli studi di Torino e Université Savoie Mont-Blanc, ottiene la laurea magistrale binazionale in Filologia moderna all’Università Sapienza di Roma e Sorbonne Université di Parigi. È fondatrice e autrice del blog “Grandi Storielle”.