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Coronavirus, clima, salute e ambiente

| MARIO SALOMONE

Tempo di lettura: 7 minuti

Coronavirus, clima, salute e ambiente

Ci sono molti più legami di quanti si pensi, o si dica, tra epidemia di Covid-19 e crisi ecologica globale. Riscaldamento globale, stili vita, degrado ambientale espongono l’umanità a gravi danni per la salute, le cui mappe corrispondono in genere a quelle dell’ingiustizia sociale e ambientale. Anche l’emergenza climatica e ambientale dovrebbe essere affrontata con misure eccezionali, che quando si vuole sono possibili, come dimostrano quelle per l’epidemia di Coronavirus.
Guida completa a ciò che abbiamo imparato (o reimparato) dall’emergenza Covid-19. Aperto il dibattito.

L’emergenza sanitaria globale dovuta all’epidemia di Coronavirus sta insegnando molte cose.

Fragilità e limite. Ad esempio, la fragilità del sistema-mondo globalizzato, che può andare rapidamente in crisi per cause diverse, da un crollo di Wall Street, a un attentato terroristico, a un conflitto regionale fino, appunto, all’insorgenza di un virus sconosciuto e aggressivo. Dobbiamo recuperare il senso del limite: del nostro sapere, della nostra scienza, della infallibilità delle nostre tecnologie, del pianeta e delle sue risorse, della crescita. L’Antropocene ha reso l’umanità più potente e in parte (da sottolineare “in parte”) più prospera, ma anche più debole ed esposta a varie minacce. Nazionalismi, xenofobia, autoritarismi e dittature più o meno camuffate, violenza interpersonale e tra gruppi, conflitti sono le reazioni che stiamo vedendo.

Comunità di destino. Lo sviluppo dei commerci, delle comunicazioni e delle telecomunicazioni, la manifattura globale hanno reso l’umanità completamente interconnessa. Persone, materiali, informazioni, energia, beni e nutrimenti circolano in tutto il grande unico corpo dell’umanità. Siamo un’unica “comunità di destino” planetaria. Comune è il destino di vivere meglio o peggio, di cavarcela o di estinguerci per una guerra nucleare, una pandemia o un collasso climatico esponenziale. Ma l’idea della comunità di destino è lontana dall’affermarsi e molte reazioni vanno nella direzione opposta, del chiudersi, del “ciascuno per sé”.

I legami tra emergenza sanitaria e questione ecologica

Temi sociali e temi ambientali sono strettamente collegati. Ne parla Mario Salomone nel libro edito da Doppiavoce (Napoli).

Salute e ambiente. Sappiamo che vi sono stretti legami tra ambiente, modello di produzione e consumo, stili di vita e salute. Pensiamo alla diffusione di malattie dovute ad esempio agli insetti vettori (che il riscaldamento globale fa proliferare e diffondere anche in zone prima immuni), alle malattie cosiddette non sessualmente trasmissibili, dovute ad alimentazione e ad ambienti insalubri (malattie cardiovascolari, diabete, ipertensione, tumori, obesità,…) o all’impatto sulla salute e la sicurezza delle fabbriche e dei processi industriali, sia per chi vi lavora, sia per le popolazioni di ampi territori. E milioni di persone muoiono di povertà, di fame, di mancanza di cure adeguate, di mancanza di servizi igienici o di acqua potabile e per malattie che sarebbero facilmente prevenibili o guaribili. Sappiamo anche che tutte le minacce per la salute umana sono distribuite ingiustamente: colpiscono i paesi in via di sviluppo, i più deboli (anziani, bambini), i meno istruiti, i meno abbienti, chi vive in zone più degradate. Chi insomma ha meno strumenti e meno conoscenze per difendersi.

Una intervista a Ilaria Capua

Covid-19 e ambiente. Va accresciuta la consapevolezza di questo rapporto tra salute umana e ambiente, anche nel caso di virus come il Covid-19. Ne parla ad esempio Ilaria Capua, scienziata e professoressa dell’Università della Florida, dove dirige il centro di ricerca su come promuovere insieme la salute di esseri umani, animali, piante e ambiente. Ilaria Capua è autrice tra l’altro di Salute circolare. Una rivoluzione necessaria (EGEA). La sfida, sostiene la professoressa Capua, è quella di riconoscere che la salute è un sistema di vasi comunicanti, per arrivare a un maggior equilibrio con gli animali, con le piante e con l’ambiente che ci accoglie nel suo complesso.
In una intervista di Tommaso Perrone a Ilaria Capua su Lifegate (“Usiamo l’intelligenza perché per il Coronavirus siamo solo un altro animale”), la grande virologa spiega che «Il virus più “parente” al nuovo Coronavirus si trova nei pipistrelli. E questo virus, che prima si trovava bello tranquillo dentro i pipistrelli nella giungla, all’improvviso si è ritrovato dentro un mercato di animali vivi, mercati rudimentali, sporchi di feci, urina, macellazioni, un po’ come i mercati italiani degli anni Quaranta e Cinquanta, però con tantissimi animali diversi perché nei mercati cinesi ci sono pangolini, serpenti, rane e quindi si è creata una situazione del tutto innaturale nella quale il pipistrello della foresta si è trovato esposto ad altri ospiti che hanno amplificato il virus, lo hanno modificato consentendogli di trovare un altro animale da infettare: l’essere umano.» e che il problema, oltre che il mercato di fauna selvatica è «il displacement degli animali dal loro habitat naturale, correlato anche ad altri fattori come la crescita delle megalopoli e della sporcizia, lo sfruttamento del lavoro e la disuguaglianza».
Ilaria Capua vede un nesso tra riscaldamento globale e malattia: può essere, dice, «che il riscaldamento globale abbia portato i pipistrelli dalla foresta alla periferia urbana. Quindi questo per dire che tutto ciò che influenza i movimenti degli animali e delle persone influenza anche le malattie.». Il concetto di “salute circolare” «riconosce che anche il riscaldamento globale è uno dei driver principali di situazioni insostenibili».
Non si sbaglia a rispettare la natura e anzi, conclude, «bisogna rispettarla sempre più».

Il virus dell’infodemia

Rischio e percezione del rischio. Insomma, è alto l’allarme (ovviamente giustificato) per l’epidemia di Covid-19, ma è scarso quello per le sue cause e concause. Tra rischio e percezione del rischio notoriamente c’è una bella differenza. Lo spiegano Fabrizio Bianchi e Liliana Cori (Istituto di Fisiologia Clinica del CNR) in un articolo su “La paura ai tempi del Coronavirus” pubblicato su Scienzainrete: «Nella moltitudine di interventi sui media si ritrovano tutti gli ingredienti tipici delle epidemie: accuse, complotti, strumentalizzazioni, interessi oscuri, pochi che provano a tranquillizzare troppo e molti che pretendono collaborazione e razionalità di fronte a scenari complessi (che nessuno riesce a conoscere in modo esaustivo)». Perché si ha paura più del Coronavirus che dei rischi ambientali? Primo, perché si teme più il rischio involontario e incontrollabile (qual è il contagio) che quello volontario (« se il rischio è volontario sembra più basso»): accettiamo il rischio ambientale per rassegnazione o per convenienza immediata.
Secondo, «un rischio nuovo fa più paura e quello di oggi è stato imposto sulla scena come un virus del tutto sconosciuto e senza rimedio. (..) Un rischio reversibile fa meno paura di un rischio irreversibile, e se esiste un rischio ma ci sono vantaggi potrebbe anche essere accettabile». E il rischio ambientale, ci dicono in molti, sarà risolto e comunque può produrre anche vantaggi (come nel caso del business del riscaldamento globale).
Terzo elemento, la fiducia: «se si ha fiducia in chi gestisce il rischio, non lo si percepisce così alto». Nel caso del Coronavirus, evidentemente, non c’è troppa fiducia nelle autorità, mentre nel caso della crisi climatica molti si affannano a tranquillizzarci prospettando, da un lato, miracolose soluzioni e insinuando il dubbio, dall’altro, che la crisi non sia così vera o imminente.
Tra minimizzazione e panico occorre trovare il giusto equilibrio, come osserva Pietro Greco su Strisciarossa (“Coronavirus, trasparenza e informazione per evitare la psicosi”), chiedendosi: «La copertura mediatica che stiamo dando alla vicenda è adeguata? È sufficientemente rigorosa? È proporzionata ai fatti?». La risposta è “no” e, oltre all’epidemia, bisogna contrastare l’infodemia e affidarsi a fonti autorevoli.

Mobilitarsi per clima e ambiente

Se volessimo, potremmo. La paura fa novanta, dice il proverbio e dal caso del Coronavirus abbiamo anche imparato che di fronte a una minaccia grave è possibile prendere misure drastiche, costringere tutti a cambiare abitudini, mobilitare risorse tecniche e scientifiche, trovare grandi somme di denaro e spostarle sui settori e gli interventi più gravi e urgenti.
C’è allora da chiedersi perché non si mobilitino le stesse energie per quanto sta portando pianeta e umanità al collasso: crisi climatica, crollo di biodiversità, distruzione degli ambiente naturali, degrado ambientale, inquinamento di aria, acque e suoli, con un tragico corredo di guerre, competizione per le risorse, insicurezza sociale, migrazioni di sterminate masse di profughi ambientali, disuguaglianze crescenti tra nazioni e all’interno delle nazioni. Anche prima del Coronavirus ci sono stati esempi di grandi mobilitazioni collettive, ad esempio quando si trattò nella Seconda guerra mondiale la bestia del nazismo e del fascismo. Allora tutto, nelle democrazie alleate contro Germania, Italia e Giappone, fu orientato a sostenere lo sforzo bellico. Una mobilitazione altrettanto massiccia è obbligatoria, perché, come ci ricordano i Fridays for future e i tanti movimenti soprattutto di giovani, “non c’è più tempo”.

Secondo l’OMS sono 7 milioni ogni anno i morti nel mondo per inquinamento dell’aria outdoor e indoor.

Una riflessione analoga viene da un editoriale del 5 marzo 2020 su The Guardian. Owen Jones si chiede appunto, “Perché non trattiamo la crisi climatica con la stessa urgenza del Coronavirus?”. Nel mondo, ci ricorda la OMS, ogni anno sette milioni di persone muoiono per inquinamento dell’aria che respirano (NB. 219 ogni giorno in Italia), abbiamo visto, osserva Jones, le fiamme di incendi giganteschi dei boschi, Mozambico, Malawi e Zimbabwe sono stati devastati dal ciclone Idai, i ghiacci dell’Antartide si stanno sciogliendo a un ritmo sei volte più veloce rispetto a 40 anni fa e quelli della Groenlandia quattro volte più velocemente di quanto previsto.
Eppure, il Governo inglese non fa dichiarazioni sui gradini del numero 10 di Downing Street, né convoca comitati straordinari di crisi (i cosiddetti COBRA meeting, dall’acronimo Cabinet Office Briefing Room) per affrontare l’emergenza climatica.

Clima e bambini. “Clima e salute” è un binomio ormai indissolubile. L’Istituto superiore di sanità italiano ne ha discusso, ad esempio, a proposito dei bambini, quelli di oggi e quelli di domani, in una tavola rotonda sul rapporto “The Lancet Countdown on health and climate change: ensuring that the health of a child born today is not defined by a changing climate”, frutto della collaborazione tra 120 esperti di 35 istituzioni di tutto il mondo.
• I neonati saranno più soggetti alla malnutrizione: con l’aumento delle temperature, infatti, il potenziale di resa media di mais (-4%), frumento (-6%), soia (-3%) e riso (-4%) è gradualmente diminuito negli ultimi 30 anni e, di conseguenza, i prezzi degli alimenti basati su questi cereali sono aumentati.
• I bambini saranno tra i più colpiti dalle malattie infettive: il 2018 è stato il secondo anno che climaticamente ha favorito la diffusione di batteri, causa di gran parte delle malattie diarroiche e delle infezioni da ferite a livello globale.
• Durante l’adolescenza, l’impatto dell’inquinamento atmosferico peggiorerà, con morti premature che nel 2016 hanno raggiunto i 2,9 milioni (oltre 440.000 dovute al solo carbone); l’approvvigionamento energetico globale da carbone è cresciuto dell’1,7% dal 2016 al 2018, invertendo una tendenza al ribasso.
• Da adulti vedranno intensificarsi gli eventi meteorologici estremi, con 152 dei 196 paesi che hanno registrato un aumento delle persone esposte agli incendi dal 2001-2004, e un record nel 2018 di 220 milioni di persone oltre i 65 anni esposte alle ondate di calore (63 milioni in più rispetto al 2017).

Su Coronavirus, ambiente e educazione ambientale “.eco” ha aperto un dibattito. Partecipa anche tu.

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MARIO SALOMONE
MARIO SALOMONE
Sociologo dell'ambiente, giornalista e scrittore, Mario Salomone dirige ".eco" dalla fondazione (1989), è autore di saggi, romanzi e racconti e di numerosi articoli su quotidiani e riviste. Già professore aggregato all'Università di Bergamo, è Segretario generale della rete mondiale di educazione ambientale WEEC, che realizza ogni due anni i congressi del settore.