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Acqua e energia, la sindrome del Prode Anselmo. Senza dimenticare quella di Phileas Fogg

| MARIO SALOMONE

Tempo di lettura: 4 minuti

Acqua e energia, la sindrome del Prode Anselmo. Senza dimenticare quella di Phileas Fogg

Ridurre i consumi, eliminare gli sprechi, cambiare stili di vita e sistemi produttivi è la prima azione da fare se manca l’energia o l’acqua scarseggia. Se il secchio è bucato, prima di mettere altra acqua bisogna chiudere i buchi. Altrimenti si fa la fine del Prode Anselmo, parente stretto di Phileas Fogg.

Il Prode Anselmo (protagonista di una famosa ballata del 1856 di Giovanni Visconti Venosta, nota anche come “La partenza del Crociato per la Palestina”) “Prese l’elmo, e a bere andò. / Ma nell’elmo, il crederete? / C’era in fondo un forellin / E in tre dì morì di sete / Senza accorgersi il tapin”.

Nel libro di Mario Salomone la “sindrome di Phileas Fogg” di cui si parla in questo articolo.

Anni fa proposi la “Sindrome di Phileas Fogg” come (mortale) malattia senile del tardo Antropocene. Phileas Fogg, il protagonista del celebre romanzo di Giulio Verne “Il giro del mondo in 80 giorni”, ordina di bruciare tutto quanto c’è di bruciabile sul vapore che lo sta portando in Inghilterra, dove lo attende la sostanziosa cifra in gioco per la scommessa da lui fatta: spinto a tutta velocità, le scorte di carbone, infatti, sono finite. La nave arriverà in vista della costa britannica ridotta a uno scheletro. Un po’ quello che sta facendo l’umanità, dando fondo alle ultime riserve di natura, di materie prime, di biodiversità, di capacità di resilienza degli ecosistemi e del clima terrestre.

David Niven nella parte di Phileas Fogg in una famosa versione cinematografica del romanzo di Verne “Il giro del mondo in 80 giorni”: il piroscafo Henrietta ormai ridotto a uno scheletro.

Stretto parente di Fogg è il crociato che “andò in guerra e mise l’elmo”, morendo di sete perché, cercando di prendere acqua da un fiume con il suo elmo, non si accorse del foro che lo svuotava.

Ridurre i consumi energetici

Italia 1973, domeniche a piedi e in bicicletta.

Un po’ quanto si fa ora. Ridurre i consumi energetici (per ridurre le emissioni di gas serra, mentre si sviluppano le rinnovabili) dovrebbe essere il primo comandamento della transizione energetica. Invece un sistema schiavo della crescita (che, notoriamente, non può essere illimitata in un pianeta finito) invoca sempre più energia e pur di averla è disposto a riaprire centrali a carbone, fantasticare di costose, pericolose e improbabili centrali nucleari, trivellare ovunque, acquistare gas e petrolio purchessia, in genere da dittature.

In passato, la risposta all’emergenza furono varie misure di riduzione dei consumi, tra cui (nel dicembre 1973) le “domeniche a piedi”, poi ripetute (troppo poco) come misura antismog. C’era stata la guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur (6-25 ottobre) che aveva portato all’embargo decretato dall’OPEC.

Il coraggio di parlare di austerity

Nel giro di due anni calò in Italia (di circa 400 mila unità) anche l’immatricolazione di automobili. Il democristiano Rumor (che varò l’austerity) era stato più coraggioso del banchiere Draghi.

La guerra in Ucraina c’è dal 24 febbraio 2022, l’IPCC dal 1988, il suo primo “Assessment Report” è del 1990, ma la prima teorizzazione dell’effetto serra come generale fenomeno di cattura del calore solare da parte dell’atmosfera terrestre risale al matematico e fisico francese J. Fourier, nel 1827, e l’effetto serra della immissione della CO2 in atmosfera per mano antropica in seguito alla crescente industrializzazione è stato segnalato nel 1896 dal fisico svedese Svante Arrhenius. Insomma, qualche misura di investimento sul trasporto pubblico urbano (meglio se su rotaia) e ferroviario per ridurre l’uso delle auto, di efficientamento energetico degli edifici, di riduzione dei consumi, di eliminazione degli sprechi e di ricerca di fonti di energia rinnovabile si sarebbe potuta prendere, se non ai tempi di Vittorio Emanuele II, almeno da quelli di Umberto I.

Acqua? Un colabrodo

E che dire dell’acqua? Di colabrodo, o meglio di “colaacqua”, parla ad esempio Ugo Leone nel numero di giugno di “.eco”: c’è la siccità, ma nei 500 mila chilometri della rete acquedottistica italiana si sprecano ogni anno oltre tre miliardi di metri cubi di acqua (“tanta acqua quanta ne occorrerebbe per soddisfare le esigenze di 40 milioni di persone”). Per non dire dell’agricoltura industriale e degli allevamenti intensivi di suini, bovini e polli.

Se per rallentare la fusione dei ghiacciai e la diminuzione di piogge e neve bisogna agire davvero sul fronte del risparmio energetico per abbattere rapidamente e drasticamente le emissioni di gas serra, quel poco di acqua che ci resta non deve essere sprecato. Inutile cercare di riempire il secchio bucato (o l’elmo forato di Anselmo) se prima non chiudiamo i buchi, letterali (quelli della rete idrica “colaacqua”) e metaforici (quelli dell’eccessivo consumo di acqua di agricoltura, allevamento, industria).

Il combinato disposto della sindrome del Prode Anselmo e di Phileas Fogg, se non fermata da una transizione culturale prima ancora che ecologica, porterà l’umanità alla rovina e a farne le spese saranno – come sempre e come sta avvenendo – i più poveri e i più deboli.

Scrive per noi

MARIO SALOMONE
MARIO SALOMONE
Sociologo dell'ambiente, giornalista e scrittore, Mario Salomone dirige ".eco" dalla fondazione (1989), è autore di saggi, romanzi e racconti e di numerosi articoli su quotidiani e riviste. Già professore aggregato all'Università di Bergamo, è Segretario generale della rete mondiale di educazione ambientale WEEC, che realizza ogni due anni i congressi del settore.