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Che bello se invece che nel “Tanatocene” potessimo vivere nel Koinocene

| Chiara Pedrocchi

Tempo di lettura: 3 minuti

Che bello se invece che nel “Tanatocene” potessimo vivere nel Koinocene
La rivista scientifica “Culture della sostenibilità” ha dedicato un numero monografico (18/2017) al dibattito sull’Antropocene. Il fascicolo è scaricabile gratuitamente in PDF.

Parlare di Antropocene significa riconoscere l’impatto che l’umanità ha avuto e continua ad avere sulla Terra.

Questo termine, tuttavia, non è privo di problematicità, e per questo serve pensare a nuove definizioni.

Una di queste è Koinocene.

 

 

Per comprendere, l’essere umano ha bisogno di categorizzare e di dare un nome alle cose. Per questo, ha sentito la necessità di suddividere il tempo geologico in base a elementi riscontrabili nella stratificazione. Di recente, tuttavia, è stata percepita la necessità di una riflessione che andasse oltre questo elemento, integrandola con un ragionamento legato al rapporto tra uomo e ambiente, con il bisogno di affrontare la crisi climatica e con la necessità di un superamento della spaccatura tra Cultura e Natura.

Perché da oltre vent’anni si parla di Antropocene

 

Da vent’anni si discute di un termine chiave, reso ancora più noto dall’omonimo film/documentario del 2018. Si tratta di Antropocene, ovvero la supposta epoca geologica in cui l’impronta dell’uomo sul pianeta sarebbe stata tanto impattante da condizionare sia su scala locale che su scala globale l’ambiente terrestre. Sebbene il primo a parlarne sia stato il biologo statunitense Stoermer negli anni ’80, a divulgarlo è stato il Premio Nobel per la chimica atmosferica Paul Crutzen.

Il libro di Mario Salomone (PDF scaricabile gratuitamente cliccando QUI) sull’impatto ambientale crescentesi delinea una transizione vero un “Biocene”.

Il termine Antropocene si presenta però come problematico per svariati motivi. Per esempio, sembrerebbe fare riferimento all’azione dell’umanità tutta, quando invece è difficile sostenere che l’attività di alcuni paesi come gli Stati Uniti o la Cina sia inquinante come quelle di altri paesi meno industrializzati, e che l’impatto di alcune etnie che da sempre si pongono in difesa dell’ambiente sia lo stesso del resto della popolazione mondiale.

Antropocene, inoltre, rischia di svalutare i risultati ottenuti dall’umanità, ponendolo in una luce esclusivamente negativa e rappresentandolo come il mostro che ha distrutto il pianeta. Infine, parlare di Antropocene significa toccare l’apice dell’antropocentrismo, con il rischio di ribaltare la visione e assolverlo per la sua attività.

Sottocategorie e alternative

Marco Armiero parla di un “Wasteocene”, l’era degli scarti.

Intravedendone le criticità, al termine Antropocene sono state affiancate delle proposte alternative, oppure delle definizioni che ne scompongono il significato. Un esempio è Capitalocene (proposto da Jason Moore), in riferimento al fatto che sarebbero le società a sfondo capitalistico a essersi rese responsabile dei cambiamenti apportati all’ambiente.

Come sottocategoria dell’Antropocene è stato proposto anche il termine Plasticocene, evidenziando l’impatto dell’uomo sul mare dovuto soprattutto alla pervasività dei rifiuti plastici nell’ambiente marino. Un altro termine proposto è stato Tanatocene, ovvero la naturale conseguenza dell’Antropocene. Quest’ultimo termine assume chiaramente caratteri apocalittici (in greco Thánatos significa Morte).

Una nuova proposta: il Koinocene

Alla base di tutto questo discorso, tuttavia, c’è una spaccatura enorme che viene data per scontata, ma decostruendo la quale ci si può aprire a nuove prospettive. Si tratta della distinzione tra Natura e Cultura.

koinocene

Il termine Koinocene, inserito nel volume “Libro dell’anno” di Treccani con la definizione

s.m. Epoca caratterizzata dal riconoscimento e dal rispetto dell’interdipendenza di tutte le forme di vita animate e inanimate presenti sul pianeta Terra

potrebbe rappresentare la definizione di cui abbiamo bisogno. Nell’articolo de La Lettura del Corriere della Sera in cui invita al suo utilizzo, l’antropologo Adriano Favole ne evidenzia la molteplicità di sfumature di significati, che fanno riferimento al campo semantico della somiglianza, della comunanza, delle partecipazioni e delle relazioni. Parlare di Koinocene significa entrare in un’ottica di interdipendenza tra tutti gli esseri viventi e non, riconoscendo una rete anche di solidarietà che riconosce la necessità degli altri (non solo esseri umani) per poter abitare il mondo.

Come fa notare Silvia Peppoloni, ricercatrice all’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, riflettere su tutto ciò può farci superare l’Antropocene (e con esso tutti i suoi paradossi) prima ancora che questo abbia inizio. La Terra, dunque, può farsi luogo di koiné, di comunanza, dove tutti hanno il diritto e dovere di prendere parte a una civiltà universale percependo una responsabilità che supera la visione individuale ma avvolge il resto degli abitanti di Gaia. In fondo, pur riconoscendo che il riferimento non era direttamente al Koinocene, dobbiamo pur riconoscere che qualcuno l’aveva già detto: la libertà è partecipazione.

Scrive per noi

Chiara Pedrocchi
Chiara Pedrocchi
Laureata in triennale in Lettere Moderne all’Università di Siena e in magistrale in Antropologia Culturale ed Etnologia all’Università di Torino. Oltre che per .eco scrive per Scomodo e VeganOK, e in passato ha collaborato con Lo Sbuffo e ViaggiNews.com. Aspirante giornalista, si interessa di ambiente, diritti umani e sessualità.