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Allevamenti intensivi in Italia: a che punto siamo?

| Chiara Pedrocchi

Tempo di lettura: 4 minuti

Allevamenti intensivi in Italia: a che punto siamo?

Oggi in Italia si trovano più di 140 mila allevamenti di animali destinati al macello. Si tratta perlopiù di allevamenti intensivi, ovvero spazi dove gli animali vivono in pessime condizioni, che hanno un altissimo impatto ambientale e comportano gravi rischi per la salute degli esseri umani.

Nati intorno alla metà del secolo scorso, sono bastati pochi decenni perché ci si rendesse conto delle conseguenze degli allevamenti intensivi, sia a livello di impatto ambientale che a livello di conseguenze sulla salute, degli esseri umani così come degli animali. Ma poiché lo scopo degli allevamenti intensivi è quello di trarre profitto dalla produzione di carne e di derivati animali, spesso e volentieri prevale la tendenza a nasconderne gli effetti deleteri in favore dell’elemento economico. A fronte di un consumo annuale di carne che, secondo le stime del WWF, in Italia negli ultimi 20 anni è più che raddoppiato, è giunto il momento di fare il punto sulla situazione, analizzando ciò che la loro presenza, a tutti i livelli, comporta.

L’impatto ambientale degli allevamenti intensivi

Sebbene negli ultimi anni il discorso sugli allevamenti intensivi sia stato ripetuto al punto che nessuno può dirsi completamente inconsapevole delle situazioni in cui questi versano e delle conseguenze di questi sull’ambiente, una volta di più i dati più recenti sono un ottimo strumento per fare il punto sulla situazione attuale, e possono essere d’aiuto per razionalizzare concetti ancora troppo astratti e dunque considerati trascurabili.

Per esempio, sebbene in vigore ci siano delle norme che stabiliscono le condizioni minime di benessere uguali per tutti gli animali, stando a un’investigazione del 2021 del Ministero della Salute solo il 16,6% degli allevamenti di suini è stato controllato da organi preposti come i NAS, ovvero il Nucleo Antisofisticazioni e Sanità, l’organo dei carabinieri dipendente dal ministero della Salute che in sede di polizia giudiziaria conduce la lotta contro le sofisticazioni alimentari.

allevamenti intensivi

Secondo uno studio dell’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale, inoltre, gli allevamenti intensivi costituiscono in Italia la seconda causa di inquinamento e di produzione di polveri fini in Italia: se il riscaldamento ne è responsabile per il 38%, gli allevamenti intensivi lo sono per il 15,1%. A questo si aggiunge lo sversamento di liquidi abusivi che inquinano terre e acque. Secondo l’organizzazione Essere Animali, che si occupa di redigere reportage e svolgere inchieste sul campo, i liquami degli allevamenti intensivi sono carichi di azoto, fosforo e potassio, nonché di farmaci e antibiotici e questo li rende inadatti a fertilizzare il terreno. In zone dove sarebbero consentiti fino a 170 kg/ettaro, inoltre, si trovano circa 500 kg d liquami.

A causa degli allevamenti intensivi, inoltre, secondo il report WWF “Dalla pandemia alla perdita di biodiversità. Dove ci sta portando il consumo di carne”, uscito nel 2021 prima del summit delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari, il 20% delle terre emerse verrebbe usato come pascolo, e il 40% dei terreni coltivati verrebbe usato come produzione di mangimi per gli animali allevati. Questo dato fa particolarmente effetto se si pensa a un mondo dove ancora, nel 2022, non è stato debellato il problema della fame e le persone continuano a morire di malnutrizione e denutrizione.

L’impatto degli allevamenti intensivi sulla salute della popolazione

Risale a gennaio 2022 il nuovo report WWF “Toccare con mano la crisi ecologica. Emergenza peste suina africana e influenza aviaria in Italia”, che mette in evidenza come il 75% delle nuove malattie che si sono diffuse e sviluppate negli ultimi 10 anni (compreso il Covid-19) siano state probabilmente trasmesse da animali o da prodotti di origine animale. Si parla, in questi casi, di zoonosi, ovvero di casi di passaggio di virus da un animale a un essere umano.

Inoltre, secondo l’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) l’Italia è al secondo posto tra i paesi membri dell’UE per il consumo di antibiotici. Più del 50% degli antibiotici venduti nel nostro paese sono destinati proprio agli animali negli allevamenti intensivi. C’è di più. A causa di fenomeni come il bracconaggio dei cinghiali, che vengono spesso macellati sul posto in modo illegale, si evidenzia un ulteriore aumento di malattie e potenziali epidemie.

Dove si trovano gli allevamenti intensivi in Italia

Secondo Banca Dati Nazionale di Anagrafe Zootecnica (BDN), in Italia ci sono oggi oltre 140 mila allevamenti. La maggior parte degli allevamenti intensivi si trovano a Nord, nello specifico tra Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto, dove sono prodotti oltre 300 prodotti DOP, IGP e STG, spesso proprio di origine animale. La regione che detiene il primato generale del numero di allevamenti è il Veneto, con il 33% del totale, seguita dalla Lombardia (17%), dall’Emilia Romagna (15%) e dal Piemonte (6%).

In Lombardia, sempre secondo Banca Dati Nazionale di Anagrafe Zootecnica, si trova una concentrazione di 4,4 milioni di maiali (oltre il 50% della produzione nazionale), ma a causa della presenza di allevamenti particolarmente intensivi si trova solo il 9% degli allevamenti. Si trovano inoltre 1,5 milioni di bovini (il 27% del totale). Seguono il Piemonte (dove se ne trovano 815 mila) e il Veneto (753 mila). A fronte di un calo di consumo di carne suina e bovina, inoltre, in Italia si registra un aumento del 6% della carne di pollo: al momento sono infatti allevati più di 137 milioni di esemplari, pari al doppio della popolazione italiana, suddivisi in 9.000 allevamenti.

Non farsi ingannare da una comunicazione distorta

Capita talvolta di sentire le persone coinvolte nella gestione degli allevamenti intensivi replicare alle indagini e alle inchieste che riguardano questi spazi con la retorica della mela marcia, e del supposto benessere animale in questi luoghi. Purtroppo è sufficiente una ricerca online per vedere con i propri occhi la realtà di questi macelli, che al momento non comportano nessun effetto positivo sul mondo in cui viviamo. Se dunque si desidera continuare a consumare carne e derivati, converrà scegliere carne di animali cresciuti in allevamenti biologici o, meglio ancora, macellata e venduta da allevatori locali.

Scrive per noi

Chiara Pedrocchi
Laureata in triennale in Lettere Moderne all’Università di Siena e in magistrale in Antropologia Culturale ed Etnologia all’Università di Torino. Oltre che per .eco scrive per Scomodo e VeganOK, e in passato ha collaborato con Lo Sbuffo e ViaggiNews.com. Aspirante giornalista, si interessa di ambiente, diritti umani e sessualità.