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L’effetto farfalla. Dal 1972 al 2023, gli eventi che oggi ci costringono a cambiare direzione

| Federica Benedetti

Tempo di lettura: 4 minuti

L’effetto farfalla. Dal 1972 al 2023, gli eventi che oggi ci costringono a cambiare direzione

Dal 1972 ad oggi, l’essere umano ha dovuto affrontare diverse sfide che hanno avuto un impatto sulla natura. La logica dello sviluppo e la difficoltà di comprendere il concetto di limite hanno portato ad una serie di eventi interconnessi, facendo crescere nelle persone e nella politica una coscienza ambientalista. Su Raiplay, il documentario “La grande sfida: l’uomo e l’ambiente 1972-2023” ripercorre questi eventi.

Secondo l’effetto farfalla, piccole variazioni nel presente, come il battito d’ali di una farfalla, possono influenzare e causare variazioni di portata maggiore a lungo termine. Il documentario “La grande sfida: l’uomo e l’ambiente 1972-2023”, disponibile su Raiplay, ripercorre alcuni eventi storici indagandone la complessità e come essi siano interconnessi l’uno con l’altro.

Rifiuti tossici, inquinamento delle falde acquifere, emissioni di gas serra e distruzione della biodiversità danno forma a un paesaggio antropizzato cominciato più di duecento anni fa con la rivoluzione industriale. Il documentario porta avanti una narrazione per dare al pubblico una visione di insieme su una questione di fondamentale importanza che ci aiuta a capire come siamo arrivati alla situazione attuale: la difficoltà di comprendere il concetto di limite. La natura è sempre stata considerata come un magazzino di risorse illimitate in nome della crescita economica, e le sfide che l’essere umano è costretto ad affrontare oggi mostrano l’urgenza di cambiare direzione.

La crisi energetica del 1973

Sabato 6 ottobre 1973 iniziò la guerra del Kippur tra una coalizione araba (Egitto e Siria) e Israele. La guerra colpì l’economia di molti paesi, perché i paesi arabi associati all’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec), supportando le azioni dell’Egitto e della Siria, aumentarono il prezzo del greggio e fecero scattare un embargo verso i paesi schierati o affiliati con Israele, condizionando così il destino dell’economia e della politica mondiale. La moltiplicazione del prezzo del petrolio, materia prima indispensabile per lo sviluppo dei paesi industrializzati, mise in crisi l’Europa, e anche l’Italia dovette affrontare queste nuove condizioni.

Iniziò così la crisi energetica del 1973, periodo in cui diventò centrale il rapporto “The Limits to Growth” del Club di Roma, uno studio volto a capire l’impatto della crescita demografica e dell’attività umana sul pianeta Terra, pubblicato nel 1972. In Italia furono emanati dei provvedimenti per affrontare questa crisi, regolamentando la vita dei cittadini e delle cittadine. Così come per le più recenti restrizioni dovute alla pandemia di Covid-19, furono colpite abitudini che dovevano cambiare in nome del bene comune. Tuttavia, come sostiene il politico Giuliano Amato, “il cambiamento climatico imporrà ancora di più regole di questo genere, e rispetto a ciò che probabilmente sarà per noi necessario, quelle di allora e quelle della pandemia sono solo delle prove generali”.

Un piano energetico divisivo

Come conseguenza della crisi energetica del 1973, venne sviluppato il programma nucleare italiano e nel 1975 fu redatto il primo Piano energetico nazionale (Pen). Questo piano prevedeva misure atte a migliorare l’efficienza energetica, la crescita dell’energia rinnovabile e lo sviluppo del settore elettronucleare con la costruzione di diverse centrali nucleari. Tuttavia, fu un piano energetico divisivo. Ad esempio, quando venne progettata una centrale nucleare a Montalto di Castro, nella provincia di Viterbo, i cittadini obiettarono perché contrastava con lo sviluppo agricolo e turistico della zona.

Insieme allo sviluppo del settore nucleare e all’aumento del prezzo del greggio, si intensificò la sensibilità per le tematiche ambientali. Nel 1971 venne pubblicato il libro “Guida alla natura d’Italia”, il primo trattato di alta divulgazione degli ambienti naturali italiani, con l’obiettivo di porre al centro dell’azione politica ed economica la tutela e la conservazione della natura. Infatti, non passò molto tempo prima dell’insorgere dei primi movimenti contro il nucleare, dovuti anche al fatto che le risorse energetiche vennero incrementate a scapito dell’ambiente.

Disastro di Seveso, 1976

Ne è un esempio il disastro il Seveso, evento oggi considerato come la Chernobyl italiana. Il 10 luglio 1976 a Seveso, in provincia di Monza e della Brianza, dall’industria chimica Icmesa ci fu una fuoriuscita di una nube tossica di diossina TCDD che uccise gli animali nei terreni circostanti. Questo evento portò ad un aumento della consapevolezza e della sensibilità ambientalista in Italia, proprio perché il disastro di Seveso mostrò che ci furono anche conseguenze sanitarie, come l’epatite tossica, e che le ripercussioni ambientali non riguardavano solo il disastro locale, ma coinvolgevano uno spazio più esteso.

La nascita di una coscienza ambientalista

Dieci anni dopo il disastro di Seveso, il 26 aprile del 1986, un altro avvenimento disastroso portò a nuove manifestazioni contro il nucleare: il disastro di Chernobyl. Nel 1987, sull’onda di questo disastro, si tenne un referendum abrogativo per fermare la costruzione delle centrali nucleari. La nascita di una coscienza ambientalista cominciò a mettere in luce le questioni ambientali e la salute pubblica.

Nel 1988 nacque il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), formato da due organismi delle Nazioni Unite: l’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) e il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep). Dal 1990 ad oggi sono stati pubblicati sei rapporti, sulla base dei quali si fondano le negoziazioni che avvengono ogni anno nella Conferenza delle parti (Cop), la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. In occasione della Cop 3, nel 1997 venne firmato il Protocollo di Kyoto, un trattato internazionale che prevedeva la riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2010 per tutti i paesi aderenti. Tuttavia, l’accordo entrò in vigore solo nel 2005, e molti paesi non raggiunsero l’obiettivo.

C’è bisogno di una cambiamento culturale

“Forse oggi gli allevamenti intensivi sono il vero lato oscuro del nostro sviluppo”, asserisce lo storico Emanuele Felice, “Questo è un caso grave in cui una logica dell’industria orientata al profitto a tutti i costi spinge a trattare in maniera ignobile degli esseri senzienti e a distruggere anche il pianeta, perché gli allevamenti intensivi, sia di terra che di mare, hanno un impatto sull’inquinamento della terra e delle acque molto molto forte”. Anche le perdite e gli sprechi alimentari, secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), incidono sul nostro pianeta: si ha una perdita del 14 percento del cibo prodotto in tutto il mondo, mentre lo spreco della produzione alimentare globale si aggira intorno al 17 percento. Le perdite e gli sprechi sono responsabili del 10 percento delle emissioni dei gas serra.

C’è bisogno di un cambiamento culturale nei confronti dell’ambiente. È necessario muoversi in una direzione che porti a sfruttare meno risorse per produrre cibo e che riveda la gestione della loro distribuzione; che veda nell’energia rinnovabile e nello sviluppo di un sistema alimentare sostenibile l’unica via; che faccia prevalere la coscienza ambientalista sulla logica dello sviluppo illimitato; e che convinca che l’ambiente debba essere tutelato non in quanto luogo bello, ma in quanto luogo vivibile.

Scrive per noi

Federica Benedetti
Federica Benedetti
Ha studiato arte presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino e archeologia medievale presso la University of York in Inghilterra. È attualmente studentessa della magistrale di Antropologia Culturale ed Etnologia presso l’Università degli Studi di Torino. Ha pubblicato anche per Lavoro Culturale e la rivista pH.