Mediterraneo: tra reciprocità, resilienza e le minacce che affliggono il Mare Nostrum
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Rai Documentari presenta “Mediterraneo. Vite sotto assedio”, una produzione internazionale che vede la collaborazione di Rai Documentari, Fabula Pictures, Boreales, France Télévision e BBC, in un’indagine durata quattro anni per narrare la vita nel Mediterraneo, tra terra e acqua, e ciò che la minaccia. Disponibile su Rai Play.
Rai Documentari presenta “Mediterraneo. Vite sotto assedio”, un’indagine durata quattro anni per narrare la vita nel Mediterraneo, tra terra e mare, e ciò che la minaccia. Quindicimila isole testimoni di una storia che ha portato il Mare Nostrum a essere resiliente e a rigenerarsi, nonostante le pressioni a cui è sempre stato sottoposto. Due documentari (divisi in quattro parti) che ci raccontano le storie degli abitanti di questo mare; storie sempre più rare da raccontare che mettono in luce la necessità di prendersi cura di un mare ormai molto fragile.
Il viaggio ancestrale delle tartarughe caretta
Si narra la storia di una tartaruga marina caretta di 25 anni che parte dalla costa meridionale della Francia per nuotare per 4000 km per arrivare a Kyparissia, una spiaggia della Grecia. Sei mesi di viaggio per ritrovare il luogo che aveva lasciato 25 anni prima. Riuscirà a ritrovarlo grazie ai suoi sensi, soprattutto quello del campo magnetico terrestre che, come una mappa, ricorda i luoghi in cui è stata. Durante il suo viaggio incontrerà diverse quantità di plastica in mare aperto: l’equivalente di 34.000 bottiglie di plastica finisce nel Mediterraneo ogni minuto, e spesso questo è fatale per le tartarughe, che la ingoiano scambiandola per meduse, il loro cibo preferito.
Dopo sei mesi di viaggio, la tartaruga caretta arriverà in questo luogo per deporre le uova. Infatti, le tartarughe non cambiano i loro luoghi di nidificazione da milioni di anni. Ma al giorno d’oggi, queste spiagge sono frequentate da turisti che minacciano la sopravvivenza delle uova. Una seconda minaccia è rappresentata dall’inquinamento luminoso: una volta schiuse le uova, infatti, i piccoli di tartaruga utilizzano il riflesso della luna per essere guidati verso il mare. Tuttavia, a causa dell’inquinamento luminoso altre fonti di luce le attirano nella direzione sbagliata, e molti piccoli finiscono per essere mangiati dai predatori o seccati al sole. Solo un cucciolo su mille raggiungerà l’età adulta, e tra 25 anni si ricorderà il punto della spiaggia dove è nato e tornerà per deporre le sue uova.
Per salvaguardare le tartarughe nasce l’organizzazione Archelon ed è proprio grazie a loro che nel Mediterraneo i siti di nidificazione sono aumentati.
Il Mediterraneo visto dall’alto
Si narra anche la storia di chi il Mediterraneo lo esperisce dall’alto. Si narra dell’aquila di mare coda bianca che, dopo aver vissuto sulle isole Cicladi insieme alla sua compagna per vent’anni, muore perché fulminata dai cavi elettrici. Un tempo queste aquile popolavano il Mediterraneo, ma vennero cacciate dai pescatori perché considerate rivali. Perciò è sempre più difficile per loro trovare un compagno. A tal fine, è in corso un progetto di reintroduzione in cui famiglie di aquile allevate in cattività vengono trasferite nelle valli che portano al mare.
Si narra anche di Matera, la città degli uccelli. Questo appellativo nasce da un patto di amicizia stretto tra gli esseri umani e i falchi. Infatti, ogni primavera i falchi grillai arrivano dall’Africa per riprodursi. Proprio per questo motivo gli esseri umani costruiscono degli spazi appositi alla nidificazione. Questo patto vuole anche che quando un piccolo cade mentre cerca di prendere il volo, viene salvato e curato fino al giorno in cui sarà maturo per il volo. In cambio, i falchi trovano le loro prede sulle nostre coltivazioni. È un patto di reciprocità: gli esseri umani proteggono i falchi e in cambio loro proteggono i raccolti dagli insetti.
Il nostro polmone in pericolo
Si narra la storia della Posidonia, una pianta che si trova sul fondale marino e di cui il più vecchio esemplare ha più di 100.000 anni. La sua grande forza è quella di assorbire anidride carbonica e rilasciare grandi quantità di ossigeno, venti volte di più di una foresta sulla terra ferma. Cresce solo un centimetro all’anno, cioè un metro al secolo. La sua crescita però è minacciata dal turismo e dalle barche che gettando le ancore rischiano di distruggere secoli di lavoro in pochi secondi.
Ma si narra anche di altre piante fondamentali per l’essere umano: dei vigneti le cui radici salvano le scogliere liguri dall’erosione, ma che sono minacciati dall’ormai troppo frequente grandine, e degli ulivi, di cui possiamo trovare esemplari che superano i 2000 anni e la cui relazione con gli esseri umani cominciò 5000 anni fa.
Una minaccia per il Mare Nostrum e i suoi abitanti
E infine si narra dell’11 aprile 1991, quando la superpetroliera Amoco Milford Haven esplose nel golfo di Genova. Diecimila tonnellate di petrolio affondarono, lasciando una chiazza mortale verso le coste italiane e francesi: ad oggi è considerato il più grande disastro ecologico mai registrato nel Mediterraneo. Ma che fine farà il relitto della Haven? Per rispondere dobbiamo tornare indietro al 1945, quando la Donator affondò al largo della costa francese. In meno di un secolo si è trasformata in uno straordinario habitat naturale: la superficie dello scafo è diventata una foresta di animali. È una foresta che respira, creando così un microclima attorno a sé, diventando una vera e propria barriera corallina.
L’impatto dell’uomo sul Mediterraneo è cominciato tanto tempo fa, e da quel momento il Mare Nostrum ha dato prova di grande resistenza, resilienza e capacità di rigenerazione. Questi documentari raccontano di com’è stata, di com’è e di come sarà la vita nel Mediterraneo, un incredibile ecosistema che per millenni ha saputo affrontare le pressioni a cui è stato sottoposto dall’uomo, ma che sta anche dimostrando che a queste pressioni non potrà reggere ancora a lungo.
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Scrive per noi
- Federica Benedetti
- Ha studiato arte presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino e archeologia medievale presso la University of York in Inghilterra. È attualmente studentessa della magistrale di Antropologia Culturale ed Etnologia presso l’Università degli Studi di Torino. Ha pubblicato anche per Lavoro Culturale e la rivista pH.
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