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Il principio di responsabilità dimostrato dalla chimica

| Federica Benedetti

Tempo di lettura: 4 minuti

Il principio di responsabilità dimostrato dalla chimica

Già alla fine del XX secolo si parlava della minaccia dello sviluppo tecnologico. Con la pubblicazione del saggio del filosofo Hans Jonas, “Il principio responsabilità”, nel 1979, comincia una riflessione sulla necessità di pensare un nuovo paradigma etico. Tuttavia, la distribuzione di benzina contenente piombo e l’inquinamento dei ghiacci dell’Artico causato dal particolato atmosferico sono esempi che mostrano la mancata applicazione di questo principio. Ne abbiamo parlato con la chimica Paola Gravina.

Nel 1979 viene pubblicato “Il principio responsabilità”, un saggio in cui il filosofo tedesco Hans Jonas riflette su come lo sviluppo tecnologico abbia portato l’umanità a essere più pericolosa e in cui critica l’inadeguatezza dell’etica e della politica così come le consociamo. Secondo Jonas, è necessario un nuovo paradigma etico, che non può più essere pensato in un’ottica antropocentrica: ad ogni azione umana è necessario applicare il principio di responsabilità, per evitare che tali azioni compromettano il futuro dell’umanità e di tutti gli esseri viventi sulla Terra. Per tutelare l’umanità e il futuro della biodiversità è quindi necessaria un’applicazione politica di un’etica della responsabilità.

“Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana” (“Il principio responsabilità” Hans Jonas)

Un errore irreparabile

Paola Gravina

La filosofia di Jonas ispirò il percorso della chimica Paola Gravina che, interessata alla chimica ambientale, durante gli studi in Scienze Chimiche all’Università degli Studi di Perugia entrò in un gruppo di ricerca per lavorare in un laboratorio di chimica ambientale dove si analizzava la presenza di tracce di metalli o di altri elementi. Gravina si è occupata principalmente dello studio dei metalli pesanti inquinanti e racconta come il suo lavoro sia stato principalmente quello di capire come l’uomo ha avuto effetto in questi ambienti e quindi l’importanza di scindere l’impatto umano rispetto a quello che è naturale. Ad esempio, il piombo è presente in natura, ma l’uomo lo ha immesso nell’ambiente con la benzina rossa, lasciando quindi tracce di questo metallo in diversi luoghi, con possibili conseguenze a livello neurologico. La difficoltà di analizzare una matrice ambientale, di per sé già molto complessa, è capire quale piombo è naturale e quale antropico.

Il velenoso piombo nella benzina super

La “benzina rossa” o “Super” (come viene comunemente chiamata la benzina con piombo) venne diffusa fino a quando, alla fine del XX secolo, norme europee e nazionali la vietarono, per poi sostituirla con la benzina senza piombo. In Europa venne abbandonata in tempi rapidi, con l’interruzione definitiva della sua distribuzione nel 2002. Tuttavia, continuò a essere utilizzata nei paesi più poveri. Nell’estate del 2021 l’Algeria, l’ultimo paese che ancora utilizzava la benzina rossa, ne interrompe la distribuzione, così che l’Onu dichiara che la benzina con piombo è ormai fuori commercio in tutto il mondo. Ciononostante, sarà comunque necessario affrontarne le conseguenze per almeno un secolo.

Per la benzina rossa veniva utilizzato il piombo tetraetile, un composto altamente tossico con proprietà antidetonanti. Non solo altamente inquinante e dannosa per l’ambiente, la benzina con piombo ha causato danni di salute irreversibili, per esempio neurologici: questo si sa grazie a diverse ricerche condotte negli Stati Uniti, soprattutto in base ad uno studio condotto nel 1979 dal pediatra americano Herbert Needleman che analizzò come le alte concentrazioni di piombo nei denti dei bambini in età scolare li portò a sviluppare problemi comportamentali e a mostrare un abbassamento del quoziente intellettivo.

Alle isole Svalbard per analizzare gli effetti dell’inquinamento atmosferico

Durante il dottorato Gravina ha avuto la possibilità di andare sulle Isole Svalbard, nel Mare Glaciale Artico, per lavorare al progetto “GruveLab – Gruvebadet Atmospheric Laboratory Project”. Lì ha potuto osservare il sistema artico nel suo complesso, sistema molto più fragile di quello che vediamo noi tutti i giorni: “Noi siamo in Italia, una zona con diverse zone climatiche e ci accorgiamo meno dell’impatto del riscaldamento globale”, asserisce Gravina, “Mentre là, col fatto che non c’è vegetazione

che apporterebbe una mitigazione del riscaldamento globale, tutto è amplificato. Lo scioglimento dei ghiacciai è relazionato, per esempio, non solo all’aumento delle temperature, ma anche al particolato atmosferico, ovvero quelle particelle scure che contengono inquinanti, come i metalli pesanti che scaturiscono dall’inquinamento. Questo particolato arriva fino all’Artico attraverso le varie circolazioni dell’aria e si va a depositare sul ghiaccio che si sporca, ed essendo scuro di colore assorbe ancor più le radiazioni del sole”.

Durante questo progetto, Gravina ha svolto l’attività di station leader della stazione italiana Dirigibile Italia, situata nel villaggio di Ny-Ålesund, sull’Isola di Spitsbergen, nell’arcipelago delle Svalbard. Tra le diverse mansioni dello station leader c’è quella di accogliere gli altri ricercatori e di organizzare le uscite direttamente sul campo. Lo station leader deve anche gestire il Laboratorio di Gruvebadet, installato a un chilometro dalla città, per campionare il particolato atmosferico e i gas per poi spedirli nei laboratori italiani. Inoltre, si deve occupare della Climate Change Tower, torre di 34 metri installata a Ny-Ålesund per misurare i parametri atmosferici a diverse altezze.

In ricordo di Angelo Viola, grazie di tutto

Una transizione un po’ troppo lenta

Adesso Gravina lavora in un’azienda che si occupa della produzione di cavi energia e cavi in fibra ottica che andranno a incrementare la transizione verso l’energia rinnovabile. Gravina nota come dentro alle aziende normalmente non ci sia la stessa sensibilità che si trova altrove, come negli enti di ricerca e nelle università. Tuttavia questa transizione è necessaria anche all’interno delle aziende, che si stanno già muovendo per andare verso quella direzione, anche se più lentamente. Questo spesso accade perché imposto a livello europeo, e quindi recepito più lentamente a causa dell’assenza di un contatto diretto con gli specialisti. “È più una questione di imposizione che una consapevolezza di farlo per l’ambiente e per l’umanità”, afferma Gravina, ma è necessario creare una coscienza comune all’interno delle aziende per poter applicare il principio di responsabilità proposto da Jonas nel 1979, e per far sì che le decisioni prese dalle aziende portino più rapidamente alla transizione verso un’energia rinnovabile.

Gravina racconta come il suo supervisor di dottorato le ricordasse sempre che già stiamo andando verso livelli di concentrazioni di anidride carbonica elevate e mai viste in questa epoca. Arriveremo sicuramente a 500ppm di anidride carbonica in atmosfera, e forse anche a 600ppm. Probabilmente raggiungeremo i 1000ppm, un valore di anidride carbonica che ha caratterizzato l’atmosfera terrestre al tempo dei dinosauri, nonché degli alligatori nell’ Artico. L’uomo non c’era. La terra quindi resisterà. Tuttavia, la biodiversità, inclusi noi esseri umani, avrà problemi a sopravvivere.

Guarda la videointervista al seguente link

Scrive per noi

Federica Benedetti
Federica Benedetti
Ha studiato arte presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino e archeologia medievale presso la University of York in Inghilterra. È attualmente studentessa della magistrale di Antropologia Culturale ed Etnologia presso l’Università degli Studi di Torino. Ha pubblicato anche per Lavoro Culturale e la rivista pH.