La natura fa bene alla scuola e alla comunità
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Di ritorno da un incontro con un gruppo di scuole impegnate in progetti di educazione ambientale basati sul rapporto con la natura. Seme di una potenziale rete più ampia, già attiva nei rispettivi territori, in cui scorrono reciproche energie tra istituti scolastici e comunità. Elementi per un modello ideale di “migliore pratica”, al servizio della “nuova educazione ambientale”, quella che raccoglie l’eredità di un lungo percorso ed è in perfetta sintonia con le sfide del futuro.
Incontrare insegnanti e dirigenti scolastici (decine di scuole, migliaia di studenti) impegnati in un progetto biennale di educazione ambientale focalizzato sul recupero del rapporto con la natura è una esperienza rigenerante e fonte di molte sollecitazioni. Mettendo insieme il meglio e qualche criticità, ne nasce un modello ideale di “migliore pratica” e ci dice forse qualcosa su “cosa c’è di nuovo nell’educazione”.
Un buon progetto, intanto, riunisce in partenariato più scuole, creando spesso un rete territoriale ampia che va dal nido fino al liceo e tocca anche località lontane dal centro propulsore, se è sede di istituti secondari frequentati da studenti di altri comuni. La continuità verticale è assicurata anche dalla formazione comune, da attività congiunte e anche dal coinvolgimento di ragazze e ragazzi più grandi in momenti di “peer education”.
I progetti di cui parliamo riguardano località grandi (un capoluogo di provincia), medie e piccole, pianura e valli montane. Le reti nate attorno alla scuola (per le più pubblica, ma non mancano le paritarie, e in un caso intorno a un ente di formazione professionale di natura cooperativa) abbracciano il rispettivo territorio.
Le premesse per una rete più ampia
Cominciando a incontrarsi, conoscersi, scambiare impressioni, spunti e riflessioni, hanno però messo le premesse per una futura rete provinciale.
Emergono infatti temi da approfondire, nodi da sciogliere, iniziative da cui imparare e la possibilità di condividere materiali formativi, bibliografie, elenchi di esperti: tutti modi per fare “massa critica”, ottimizzare le risorse, realizzare magari anche economie di scala. L’aspetto più interessante è che anche la storica “outdoor education” (vedi box) che è tra le pratiche adottate dai progetti oggi si declina con la discussione sullo spazio pubblico, l’apprendimento “trasformativo”, la povertà educativa, la qualità della vita, l’idea di un altra economia locale, la mobilità, insomma con tutti i temi della sostenibilità socio-ambientale. E soprattutto che da “nonna” dell’educazione ambientale (e della “educazione sostenibile cui l’educazione ambientale mira) oggi diventa uno degli strumenti al servizio della “nuova educazione ambientale”, quella che raccoglie l’eredità di un lungo percorso ed è in perfetta sintonia con le sfide del futuro.
La «Outdoor education»
Sotto il termine «Outdoor education» sono comprese una grande varietà di esperienze pedagogiche caratterizzate da didattica attiva che si svolge in ambienti esterni alla scuola e che è impostata sulle caratteristiche del territorio e del contesto sociale e culturale in cui la scuola è collocata. L’offerta formativa dell’Outdoor education include quindi una grande varietà di attività didattiche che vanno da esperienze di tipo percettivo-sensoriale (orto didattico, visite a fattorie, musei, parchi, ecc.) ad esperienze basate su attività sociomotorie ed esplorative tipiche dell’Adventure education (orienteering, trekking, vela, ecc.), a progetti scolastici che intrecciano l’apertura al mondo naturale con la tecnologia (coding, robotica, tinkering, ecc.), fino a percorsi educativi profondamente ispirati alla tradizione nordeuropea.
Originario dei paesi nordeuropei e lì diffuso, in questi ultimi anni l’Outdoor education sta vedendo una rapida diffusione anche in Italia. Nato come risposta a fenomeni di indoorization che, a partire dalla rivoluzione industriale in poi, sono stati l’espressione dei mutati rapporti tra uomo e ambiente, oggi l’Outdoor education è una proposta pedagogica che offre una risposta anche agli stili di vita imposti dalla recente pandemia.
Da questo punto di vista occorre precisare che non è sufficiente uscire dall’aula per poter parlare di Outdoor education; in un’esperienza pedagogica di questo tipo non possono infatti mancare:
– l’interdisciplinarità;
– l’attivazione di relazioni interpersonali;
– l’attivazione di relazioni ecosistemiche.
(…)
Inoltre, con il temine «Outdoor education» non ci riferiamo soltanto ad esperienze che si svolgono in contesti naturali (giardino della scuola, parchi, fattorie, ecc.) ma anche a percorsi didattici realizzati in ambienti urbani (musei, piazze, parchi cittadini, ecc.), dove è garantito un rapporto diretto e concreto con il mondo reale e il coinvolgimento nella sua interezza del soggetto in formazione (dimensioni cognitiva, fisica, affettiva e relazionale).
L’approccio pedagogico dell’Outdoor education è comunemente considerato uno sviluppo del pensiero educativo seicentesco e settecentesco di John Locke e di Jean-Jacques Rousseau, che hanno portato in evidenza il legame tra esperienza e apprendimento ed han- no fatto emergere il ruolo dell’ambiente esterno nell’attivazione dei processi cognitivi. In particolare, tra le esperienze pedagogiche anticipatrici dell’Outdoor education ricordiamo i contributi di John Amos Comenio, Johann Heinrich Pestalozzi, Friedrich Wilhelm August Fröbel, Margaret McMillan e Gösta Frohm. Inoltre, l’Outdoor education si ricollega al pensiero pedagogico di Rudolf Steiner, Maria Montessori e John Dewey, così come sono forti i contatti tra Outdoor education e l’esperienza di Robert Baden-Powell, fondatore del movimento scout.
(Indire)
Primo passo: la formazione degli insegnanti
Giustamente si parte sempre dalla formazione dei formatori, in parte a distanza, in parte in presenza, in parte teorica, in parte esperienziale, attingendo a docenti ed esperti di varia provenienza geografica e appartenenti a università (privilegiata Scienze della formazione primaria), enti pubblici, Terzo settore, studi e agenzie private. Un mix che dovrebbe essere presente in ogni percorso, senza dare l’esclusiva a questo o a quella, così come forse va cercato un maggiore equilibrio tra lezioni e momenti laboratoriali sul campo. Come allieve e allievi devono uscire dalla quattro mura dell’aula, anche l’insegnante deve scendere dalla cattedra e mettere il naso fuori fin dalla formazione.
I materiali e le registrazioni delle lezioni sono comunque condivisi con tutti gli insegnanti delle scuole coinvolte, a disposizione anche degli insegnanti che non partecipano direttamente al progetto.
Un altro elemento di pregio è il coinvolgimento della comunità, con persone rappresentative per il loro ruolo attivo inserite nella “cabina di regia” del progetto e le amministrazioni comunali mobilitate a dare una mano e a essere massicciamente presenti “in piazza” quando la scuola si trasferisce all’aperto. Il territorio – da percorrere in lungo e in largo – è un libro da sfogliare (fatto di ecosistemi, cultura materiale, patrimonio, storia, tecnologia, bellezza ma anche bruttezza, miopie, egoismi e errori umani…), è uno scrigno di risorse educative per la scuola e la scuole può legittimamente pretendere che il territorio si attrezzi per esserlo davvero materialmente, mentalmente e normativamente (anche le scuole devono spesso fare i conti con la burocrazia e le sue lungaggini).
La scuola “fa comunità”
È un primo passo, ma occorre anche il movimento inverso: la scuola agisce nella comunità, stimola e interpreta processi di ri-territorializzazione (di tipo non nostalgico e retrivo, ma declinati alla luce della realtà che cambia) ed è essa stessa – attraverso l’azione educativa – creatrice di comunità, senso di identità e appartenenza. La riconciliazione con la natura, il “re-incantamento” del mondo è un passaggio fondamentale e indispensabile, accompagnato però da una visione di futuro, da un dialogo con la più vasta comunità planetaria di destino, da una ricostruzione di capitale sociale e di partecipazione, da una risegnificazione del territorio all’insegna di un paradigma ecologico.
Nella comunità ovviamente i primi da coinvolgere sono i genitori, che devono capire l’importanza delle attività all’aperto, non importa se i figli si sporcano, si bagnano o si fanno qualche graffio. E devono coltivare il rapporto con la natura anche a casa, ad esempio nel fine settimana che non va passato al centro commerciale. Man mano che l’età dei figli cresce, arrivando fino alla maggiore età, il rapporto insegnanti-giovani-famiglie si fa più difficile e complesso. Un nodo, questo, senz’altro da approfondire, perché l’adulto va comunque “educato”: la presenza della famiglia muta di segno (a volte evanescente, a volte incombente), ma resta, nel bene o nel male.
Il verde a portata di mano e quello cercato
Fatto tutto questo (formati gli insegnanti, alfabetizzato alla sostenibilità e avvicinato a una visione più eco-centrica che antropocentrica anche il resto del corpo docente e magari quello di altre scuole non direttamente partner del progetto, coinvolti genitori, comunità, amministrazioni locali, aziende di servizio pubblico – trasporti, acqua, energia, rifiuti), si pone il problema di cosa e dove “fare”.
Nei centri urbani il verde non c’è proprio o bisogna accontentarsi dei giardinetti. Anche nei piccoli centri, però, dove il verde è a portata di mano (o meglio, di piedi) gli insegnanti segnalano aspetti noti a chi vive in città (ed è un dato paradossale su cui riflettere): giovani che fanno poco sport, che non sanno da dove vengono i pomodori, che non sanno camminare su terreni irregolari, che hanno un rapporto con la natura molto scarso.
Ci sono poi tutte le differenze tipiche dell’ambiente scolastico di cui tenere conto: ragazze e ragazzi con fragilità personali o socioculturali, immigrati di etnie diverse (di quale cultura della natura sono portatrici loro e/o le loro famiglie?), diversamente abili, ecc. La scuola deve essere inclusiva: costruire l’uguaglianza liberando le differenze.
Anche comunicare è importante
Bene, si parte. Per andare fuori città (scatta allora un problema di costi di trasporto per raggiungere un contesto naturale, un’area protetta, un parco) o per restare sul posto, nell’orto scolastico, nel cortile de-cementificato. Andare a scuola in bici o con il piedibus è un buon modo per coniugare movimento e sostenibilità. Meglio ancora se (superati gli ostacoli burocratici di cui sopra) le vie intorno alla scuola sono state pedonalizzate.
Infine, la comunicazione. Comunicare è importante perché tutti sappiano e tutti riconoscano che la scuola ci sta provando a cambiare se stessa e il suo intorno: videocomunicati, conferenze stampa in piazza, stalking dei giornalisti (con risultati spesso incoraggianti con i mass media locali e qualche volta perfino nazionali), abbondante uso dei social e dei siti web scolastici, eventi. Un logo, magari, da mettere sulle pettorine dei bambini che prendono il piedibus o una targa da apporre negli spazi pubblici (piazze, giardini,…) diventati anche ufficialmente aule all’aperto.
Insomma, mettere al centro la natura fa bene alla scuola e alla comunità.
Certo, non è un frutto maturo facile da cogliere, è il risultato di pazienza e determinazione, studio e sinergie, intelligenza e capacità di fare rete e superare molti ostacoli, che sono dentro e fuori la scuola.
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- MARIO SALOMONE
- Sociologo dell'ambiente, giornalista e scrittore, Mario Salomone dirige ".eco" dalla fondazione (1989), è autore di saggi, romanzi e racconti e di numerosi articoli su quotidiani e riviste. Già professore aggregato all'Università di Bergamo, è Segretario generale della rete mondiale di educazione ambientale WEEC, che realizza ogni due anni i congressi del settore.
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